lunedì 18 febbraio 2013

Stalker

di Andrej Tarkowsky

con: Aleksandr Kaydanovskiy, Anatoliy Solonitsyn, Nikolay Grinko, Natasha Abramova.

 

Unione Sovietica (1979)











Il desiderio spinge gli uomini oltre i propri limiti; l’essere umano, pur di raggiungerlo, è capace di qualsiasi cosa; ma cosa accade una volta che questo obiettivo viene raggiunto? Andrej Tarkoskj, geniale cineasta russo e maestro indiscusso a livello mondiale, nel 1979 con “Stalker” cerca di rispondere a tale quesito, generando uno dei suoi capolavori.



In uno scenario post-apocalittico, in una città militarizzata e cupa, un uomo si guadagna da vivere come guida verso “la zona”, un misterioso luogo situato al di là dei confini della metropoli, dove si dice che ogni desiderio possa avverarsi; due uomini, uno scienziato ed uno scrittore, decidono di raggiungere la zona guidati dall’uomo.




Il viaggio dei tre protagonisti è la perfetta metafora della ricerca del desiderio: inizialmente i tre “stalkers” (letteralmente “inseguitori”) devono fuggire dai soldati che impediscono loro di uscire dalla città; la società è, dunque, il primo ostacolo verso la realizzazione dell’uomo, chiaro simbolismo che allude al totalitarismo sovietico in cui Tarkovskj è nato e cresciuto; la metropoli, quasi una Stalingrado post-bellica, è dipinta mediante una splendida fotografia monocromatica: il marrone e il grigio si affiancano generando figure smorte e a tratti inquietanti, perfetta metafora di un mondo in cui le passioni, e quindi i desideri, non esistono più; il territorio antistante la zona è invece selvaggio: a testimonianza del passato bellico, scorgiamo rovine di una civiltà passata ora totalmente assorbite da uno scenario naturale; piante e specchi d’acqua si fanno così portatrici del mistero, dell’ignoto che attende i protagonisti, magnificamente dipinto dall’autore come un oggetto indistinto che può appena intravedersi nel corso di un fiume; giunti nell’anticamera della zona, si entra in luoghi cupi e claustrofobici: la ricerca della realizzazione sembra così strozzare l’uomo, sul cui cammino cominciano a frapporsi pericoli mortali; una volta superati questi ultimi, si giunge dunque alla conquista dell’ambizione: ed è qui che la vena pessimistica di Tarkoskj viene fuori con inusitata prepotenza; i due viaggiatori sono il prodotto e il simbolo di una società malata e morente: uno scienziato, baluardo dell’evoluzione umana che, però, antepone il successo personale al progresso, e un intellettuale, coscienza della società che, anziché esortarla al cambiamento, pensa solo ai propri interessi e si chiude in sé stesso.



La guida diviene così il simbolo dell’uomo comune, stretto tra questi due opposti, tra lo spirito e la materia ormai corrotti; i desideri dei tre non si avverano, il viaggio è inutile: la zona si mostra come una camera buia, piena di macerie e sporcizia, poiché, come la guida stessa ammette, questo mondo non ha più la capacità di sognare e desiderare; l’inerzia interiore dell’uomo viene simboleggiata dall’autore mediante una messa in scena geniale: gli attori sono perennemente impallati, le loro figure si sovrappongono come a creare un unico essere semovente ma immobile, perfetto esempio di un’umanità incapace di evolversi; la costruzione delle inquadrature, inoltre, esalta magnificamente il contrasto tra figura umana e paesaggio antistante: i personaggi sono come alieni che si muovono in un mondo a loro sconosciuto e che non riescono a comprendere né a cambiare. Pessimismo “cosmico” e totale che viene mitigato solo nell’epilogo della pellicola: la figlia della guida, menomata a causa delle radiazioni, si scopre essere dotata di poteri psicocinetici, emblema della speranza per un futuro in cui una nuova generazione di individui, forgiata dagli atti barbarici perpetrati da quella precedente ormai condannata all’estinzione, potrà forse riportare la luce nel mondo.


“Stalker” è, in definitiva, un capolavoro del cinema mondiale e una delle vette della filmografia del geniale autore russo, da vedere per comprendere davvero il significato del cinema allo stato dell’arte e per riflettere sullo stato delle cose.

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