lunedì 18 febbraio 2013

Frankenweenie


di Tim Burton

Animazione
 

Usa (2012)

 
















Dopo il ridicolo "Alice in Wonderland" e l'insipido "Dark Shadows", Burton decide di tornare all'animazione in stop-motion e lo fa riprendendo ed espandendo un suo vecchio lavoro: "Frankenweenie", ossia il suo primo cortometraggio.
Inutile citare la trama: la storia è praticamente quella del "Frankenstein" di James Whale (1931), solo che al posto dello scienziato e del mostro ci sono un ragazzino e il suo cane.




Ritornando alle sue origni Burton sembra ritrovare l'ispirazione e il carisma che da qualche anno a questa parte gli mancavano: situazioni esilaranti e sprazzi commoventi si susseguono senza sosta nella pellicola; ma "Frankenweenie" è sopratutto un gigantesco atto d'amore verso il cinema che da sempre ispira Burton: i B-Movies del periodo 1930-1970; le citazioni sono molteplici e vanno dal già ricordato "Frankenstein" a "Godzilla", dagli horror della Hammer con Christopher Lee alla fantascienza americana anni '50, fino al culmine massimo definitivo: Vincent Price che "risorge" come personaggio animato nelle vesti di uno strambo professore di scienza, la cui voce è quella di Martin Landau, l'attore che interpretava Bela Lugosi in "Ed Wood" (1994) diretto dallo stesso Burton. 



La grandezza dell'autore sta, come al solito, nel non usare spocchia: le citazioni sono perfettamente integrate nel contesto del racconto, non vengono sbattute in faccia allo spettatore tanto per fare e testo e,quindi, assurgono facilmente a perfetta metafora nostalgica.
Ma l'ultima fatica di Burton riesce a farsi amare anche e sopratutto per un altro motivo: rappresenta la continuazione perfetta della poetica stilistica e dei temi cari all'autore; se nelle opere precedenti i protagonisti dei film di Burton erano dei freaks che, in un modo o nell'altro, si scontravano con i cosidetti "normali" svelandone i lati più ipocriti e distruttivi, in "Frankenweenie" lo scontro si fa più sottile; i freaks non sono dei reiretti della società borghese, ma i bambini, pieni di sogni e di vita, che si oppongo al grigio pragmatismo degli adulti e alla loro dogmatica ignoranza; il tramite del conflitto è la scienza, che può essere usata sia per compiere il bene che per compiere il male, come i piccoli protagonisti impareranno a loro spese; gli adulti, dal canto loro, non sono descritti del tutto come cattivi: tra loro vi sono soggetti più tolleranti ed altri più chiusi. 



Lo scontro tra questi differenti punti di vista culmina stavolta non in una disgrazia o in una fuga, bensì nella comprensione da parte degli adulti del punto di vista del protagonista, e quindi del "diverso" che, nello splendido finale, viene pienamente accettato. Burton, inoltre, fa delle citazioni uno stile estetico: l'intera pellicola benchè girata in 3d è toatalmente in bianco e nero, le inquadrature si rifanno alla plasticità quasi teatrale dei film di James Wahle (citate nelle splendide sequenze nel cimitero) e la fotografia, oltre a richiamarsi ai forti contrasti monocromatici dei B-movies classici, cita in contnuazione l'espressionismo tedesco; il risultato è affascinante ed ammaliante, una vera gioia per gli occhi.
Burton torna in forma, quindi: "Frankenweenie" è la dimostrazione che il talvolta sopravvalutato autore ha ancora qualcosa da dire.... sperando che non sia solo merito delle citazioni!

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