mercoledì 27 marzo 2013

Howard e il Destino del Mondo

Howard the Duck

di Willard Huyck

con: Ed Gale, Lea Thompson, Tim Robbins, Jeffrey Jones.

Fantastico/Commedia/Avventura

Usa 1986
















A sentirlo oggi, con la pessima nomea che la sua trasposizione filmica gli ha procurato, potrebbe sembrare strano, falso, semplicemente impossibile, ma Howard il Papero è stato uno dei migliori (se non il migliore) nonché il più interessante albo pubblicato dalla Marvel negli anni '70 e '80.
Creato dal compianto Steve Gerber nel lontano 1973, il personaggio nasce come un vero e proprio scherzo fatto a Stan Lee (e di riflesso al lettore): nel numero 19 di "Adventure into Fear", un gruppo di personaggi capeggiati dal silenzioso ed imponente "Uomo-Cosa" doveva fronteggiare una crisi dimensionale, che fondeva i vari universi; il più stravagante effetto, nella storia, è quello di introdurre il personaggio più strambo, sboccato e incazzato che il fumetto americano ricordi, Howard il Papero appunto, che, sigaro d'ordinanza in bocca, si presenta al lettore come una sorta di Paperino adulto ed arrabbiato, tanto che per anni la stessa Disney cercherà di bloccarne la pubblicazione.
Giunto da un mondo parallelo dove l'anatra si è evoluta in forma intelligente, Howard si unisce all'Uomo-Cosa e soci, ma viene ucciso dopo poche pagine, precipitando in una sorta di pozzo senza fondo. L'intenzione di Gerber era chiara: sfottere il pubblico aggiungendo un personaggio strambo in una storia già di suo folle. Ma il successo che questa sua prima apparizione generò, costrinse Stan Lee e l'autore a "resuscitare" il pennuto, prima in un paio di storie in appendice a "Man-Thing", poi in una serie regolare: "Howard the Duck", che inizio nel 1976 e si concluse in parte nella prima metà degli anni '80. Il successo fu stratosferico anche in Italia, dove la mitica Editoriale Corno importò le storie, ribattezzando il personaggio con l'italianissimo "Orestolo il Papero".




A decretare il successo della serie e la sua riuscita, è una formula per l'epoca inedita e spiazzante: Howard non è un supereroe con superproblemi, o un superuomo dotato di carisma, intelligenza e pazienza. Howard è l'incarnazione stessa dell'uomo comune, alienato in una società che non comprende e dalla quale non viene compreso né accettato. Howard è, in tutto e per tutto, un avatar del suo autore: Gerber, ebreo, sinistrorso e pacifista, si trovava spiazzato dall'America di quei turbolenti anni '70 e con il suo personaggio decide di esorcizzare le use angosce e frustrazioni.
Un avatar che si ritrova, proprio come il suo autore, catapultato in un mondo strambo, popolato da folli "scimmie pelate" che si comportano in modo umorale ed illogico. E Gerber fa di tutto per spiazzare il lettore: arrivato sulla Terra, in preda alla disperazione più nera, Howard decide di suicidarsi già nel primo numero della serie. A salvarlo dagli impulsi autodistruttivi e dalla depressione più nera è solo l'amicizia (che talvolta sfocia in attrazione) con la bellissima Beverly Switzler, l'unica scimmia pelata che sopporta, una ragazza giovane, disinibita e un pò toccata che lo accompagnerà per tutta la sua vita editoriale.




Le loro avventure viaggiano costantemente su due binari opposti e complementari: da un lato la disanima acida ed irriverente della società, dall'altro un gusto estremo per il grottesco, che si tramuta in un vero e proprio sfottò dei cliché fumettistici, che Gerber si diverte a ridicolizzare ed infrangere.
Con piglio caricaturale, Howard distrugge, di numero in numero, tutte le convinzioni della società americana: il progresso non è che una sciarada che permette ai ricchi di arricchirsi sulle spalle dei poveri e a discapito dell'ambiente; la violenza, generata dalla cultura pop del cinema di arti marziali d'accatto che tanto furoreggiava all'epoca, altro non era che un mezzo per creare mostri e distruggere l'innocenza, in una delle storie più toccanti; la classe borghese, ricca e strafottente, con le sue mode e vizi non fa che causare danni ai più deboli. Nel ciclo di storie più famoso, Howard viene persino candidato alla Casa Bianca, svelando l'inconsistenza e le contraddizioni del sistema democratico a stelle e strisce.



Cattiveria che si sposa perfettamente con una caratterizzazione psicologica inedita per l'epoca in cui il fumetto andò in stampa: oltre che una carattere, Howard ha anche una vera e propria psicologia, che lo porta sovente a scontrarsi con sé stesso e la propria incapacità di omologarsi, causandone, ad un certo, un vero e proprio crollo psicologico.
Altro binario della serie era, come anticipato, la parodia delle testate supereroistiche, rilette in chiave demenziale; ecco dunque apparire sin dai primissimi numeri una serie di villain del tutto improbabili e dalla caratterizzazione volutamente provocatoria: l'Uomo Rapa dallo Spazio Profondo, venuto sulla Terra per provare i piaceri del sesso, il Sonnambulo, artista frustrato che di notte sfoga la sua rabbia pestando chi lo opprime, la Vecchietta dell'Autobus, perennemente preoccupata dei propri reni, satira della stupidità dell'uomo medio; e su tutti, il Dottor Bong, vera e propria nemesi del papero, ex giornalista sfigato che scopre come la penna possa portare ad una vera e propria riscrittura del reale per tramutarsi in una sorta di Dottor Moreou ossessionato dalle curve della procace Beverly.
Gli scontri con questa amena galleria di personaggi vengono risolti da Gerber in modo folle e anticlimatico: la violenza che caratterizza tutt'oggi i comic viene deprecata e il conflitto risolto a suon di umorismo, in una serie di catarsi sempre più folli ed affascinanti.
Ma il vero nemico di Howard, ovviamente, era un altro: il malessere; in una rilettura più verosimile del mantra del "supereroe con superproblemi", Howie e Beverly sono insidiati da minacce ben più pericolose del supercriminale di turno, come la mancanza di posto di lavoro fisso o di un tetto sulla testa o, talvolta, della salute mentale o psichica, in ossequio ad una visione del mondo che, per quanto grottesca e folle in superficie, appare in fin dei conti più realistica di quanto si fosse mai visto sulla carta a fumetti.





Quando, alla metà circa degli anni '80, George Lucas acquisì i diritti del fumetto, le produzioni audiovisive tratte dai fumetti Marvel erano semplicemente orripilanti; tolta la bella serie televisiva tratta da "L'Incredibile Hulk", cult dell'epoca tutt'oggi apprezzabile, le trasposizioni, sempre per il piccolo schermo, degli Avengers e di Capitan America erano semplicemente inguardabili. Grande trepidazione, quindi, ci fu quando il papà della famosa "Galassia lontana lontana" decise di trasporre sul Grande Schermo uno dei personaggi più amati della Casa delle Idee in un lungometraggio ad altro budget, che avrebbe dovuto rappresentare uno dei blockbuster di punta dell'estate del 1986. Malauguratamente, Lucas non aveva la minima idea di cosa farsene di Howard e del suo pazzo mondo: affidata la regia all'amico Willard Huyck, già autore dello script di "Indiana Jones e il Tempio Maledetto" (1984) e regista dello scialbo "La Miglior difesa è... la Fuga" (1984), Lucas si ritaglia il suo solito ruolo di produttore-demiurgo, imbastisce una grossa produzione, i cui valori sono tutt'oggi apprezzabili, per creare un film ameno, indeciso sul tono e sul target, che finisce così con l'essere genuinamente trash.





La sagacia del personaggio viene relegata ai dialoghi con cui Howard schernisce i suoi compagni; il senso del grottesco latita, così come l'umorismo acido; e ad una trama ironica e parodistica se ne preferisce una incredibilmente seria, dai risvolti fortemente dark, infarcita, però, di rimandi provocatori e sexy.
Nei primi minuti, il film sembra rifarsi in parte al tono goliardico e provocatorio del comic, aggiornandolo alla sensibilità anni '80: il povero paperotto Howard (interpretato da Ed Gale, bardato in un costume-animatronic tutto sommato stupefacente) arriva a Cleveland, descritta come un coacervo di umani violenti ed arrapati, che si divertono a picchiare il papero come in un film della Troma mentre si abbandonano alla lascivia in mezzo a strade e vicoli sudici. Beverly (interpretata dalla bella Lea Thompson) è ora una cantante rock di second'ordine sfigata e stupida, che finisce per innamorarsi sin da subito del suo strambo compagno. E lo scienziato Phil (un giovanissimo Tim Robbins) è, come da tradizione, un perfetto esponente della stupida razza delle "scimmie pelate", che si comporta più da idiota che da scienziato. Tuttavia, man mano che il minutaggio corre, ci si accorge di come il tutto venga orchestrato in maniera sin troppo seria: alla cattiveria e al senso di grottesco che sarebbero stati necessari per rendere il tutto credibile, si sostituisce una melanconia troppo marcata e fuori posto, visto che si sta pur sempre parlando di un papero antropomorfo sfottente e disilluso. E', tuttavia, nella seconda metà del film che le cose precipitano.




Abbandonato l'umorismo e i sottotesti sessuali (compresi gli ormai famosi nudi delle papere antropomorfe), la storia intraprende una svolta horror del tutto inaspettata. Il nemico di turno, lungi dall'essere un essere grottesco, è un improbabile demone spaziale che i nostri "eroi" devono rispedire al mittente. A farla da padrone sono da qui in poi atmosfere horror condite da una spiazzante dose di body horror, come nella sequenza in cui il posseduto dottor Jenning (Jeffrey Jones) usa un tentacolo orale per ricaricarsi di energia dinanzi ad una schifata Beverly, sequenza che porta alla mente i tentacle-rape di "Urotsukidoji" e affini. L'uso di un registro horror pregnante e ai limiti del gore era normale anche nel cinema per ragazzi dell'epoca, ma in "Howard the Duck" appare fuori luogo, forzato, troppo dark.





Tanto che alla fine ci si domanda a quale target questa trasposizione voglia rivolgersi: troppo camp per essere presa sul serio, troppo adulta per essere considerata un'opera bambini. "Malriuscita" è il termine adatto per definirla, persa com'è in una serie di influenze troppo eterogenee e mal amalgamate da uno script claudicante. Al punto da divenire, appunto, un vero e proprio saggio del tash: un'accozzaglia senza né capo né coda di situazioni e personaggi.





Non c'è da stupirsi, quindi, del flop immane che il film fu all'epoca: schifato dallo spettatore comune, odiato dai fans del fumetto; un duro colpo per la Marvel, che non riusci più a stuzzicare l'interesse delle major per i suoi personaggi per almeno altri 12 anni. 
Dal canto suo, invece, Lucas è tutt'oggi convinto che un giorno la gente riscoprirà "Howard e il Destino del Mondo" per il capolavoro che è; peccato che a quasi trent'anni dalla sua uscita sia giustamente ricordato solo per il disastro artistico e commerciale che fu; e per aver distrutto l'eredità di un personaggio che su carta aveva ben altra caratura.

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