martedì 5 marzo 2013

Metello

di Mauro Bolognini

con: Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo, Lucia Bosè, Frank Wolff, Renzo Montagnani, Pino Collizzi, Sergio Ciulli, Franco Balducci.

Drammatico

Italia (1970)















Il melodramma è da sempre uno dei "generi" caratteristici del cinema nostrano; oggi come oggi, a giudicare dai polpettoni di Ozpetek o dagli insipidi filmetti della Archibugi non lo si direbbe, ma un tempo esso veniva usato anche come registro di partenza per narrare storie di più ampio respiro; perfetto esempio di tale commistione è "Metello", film diretto da Bolognini nel 1970, anno di grazia che ha influito non poco sulla pellicola: la contestazione è scoppiata da poco, i fatti di Altamont non sono ancora stati assimilati dall'opinione pubblica internazionale e le stragi dei brigatisti sono solo alla vigilia; la contestazione di stampo marxista riempe le discussioni intellettuali e il cinema si fa portavoce di idee riformiste, schierandosi apertamente dalla parte dei lavoratori oppressi da un sistema iniquo.
 

La storia di Metello (interpretato da un Massimo Ranieri acerbo dal punto di vista della tecnica recitativa ma perfettamente in parte) si muove così su due binari distinti: da una parte c'è il melò, con le storie di amori gelosie e tradimenti, dall'altra quella della passione politica, delle contestazioni, delle lotte a muso contro i padroni. Il risultato è in parte spiazzante: la sceneggiatura oscilla perennemente tra i due registri, quasi senza soluzione di continuità; eppure entrambi sono sviluppati a dovere: si resta coinvolti fin da subito dalle vicissitudini del protagonista, dalle sue passioni, dalle sventure che lo perseguitano e dalle piccole grandi vittorie che riporta di volta in volta; il personaggio di Metello, alla fin fine, può essere visto come una sorta di simbolo dell'uomo comune: non ha grandi aspirazioni, cerca solo di sopravvivere in un'ambiente ostile e in un sistema che priva l'individuo di ogni garanzia, di salvarsi dalle tentazioni e di aiutare chi gli sta affianco.


Paradossale è il fatto che una storia del genere, ambientata nella Firenze dei primi anni del XX secolo, risulti tutt'ora attuale, non tanto dal punto di vista del melodramma (invero molto ancorato ai codici dei romanzi d'appendice dell'epoca, da cui il film è tratto), ma da quello della ricostruzione politica: i lavoratori vessati dalle angherie dei potenti e dalle morti bianche sui luoghi di lavoro, i sindacati presenti solo simbolicamente e i liberi pensatori ingabbiati solo perchè istruiti; cosa è cambiato in cento anni? La parificazione tra lavoratori e datori di lavoro, entrambi vessati dalle angherie di chi sta più in alto, la presa di coscienza dell'impossibilità della realizzazione di un'utopia marxista vera e propria (l'affermazione fatta dal protagonista per cui sarebbe bello un mondo in cui non c'è bisogno di lavorare, ammettiamolo, mette i brividi) e la trasformazione dei grandi sindacati in lobbies di potere vere e proprie; in pratica: non molto, il che dovrebbe farci riflettere.
Fiore all'occhiello del film resta però la splendida ricostruzione storica: costumi, scenografie e oggetti di scena riescono davvero a ricreare l'illusione di un mondo perduto; merito della produzione Titanus, che all'epoca, nonostante le cattive acque in cui navigava a seguito dei flop de "Il Gattopardo" e sopratutto di "Sodoma e Gomorra", garantiva fondi adeguati per la qualità delle sue pellicole.... roba d'altri tempi.


Peccato imperdonabile della pellicola risiede, spiace dirlo, nella regia di Bolognini: questa risulta sempre scolastica, priva di mordente e talvolta di enfasi, affidandosi troppo agli attori e troppo poco alla costruzione della scena; un vero peccato: se il progetto fosse stato affidato a Visconti o comunque ad un autore dalla visione filmica più solida, "Metello" avrebbe avuto ben poco da invidiare ad altri classici del cinema italiano; il risultato finale è comunque riuscito: la storia coinvolge, la ricostruzione storica ammalia e gli attori incantano, sopratutto la giovane e bella Ottavia Piccolo, che all'epoca vinse finanche il gran premio della giuria a Cannes.

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