lunedì 22 aprile 2013

Pusher II- Sangue sulle mie Mani

Pusher II

di Nicolas Winding Refn

con: Madds Mikklesen, Leif Sylvester, Zlatko Buric, Kurt Nielsen, Karsten Schrøder.

Danimarca, Inghilterra (2004)














"Fear X" (2003) fu un insuccesso sia di critica che di pubblico; agli inizi del 2004 Refn è così costretto a fare marcia indietro: tornare ad una produzione totalmente danese e cercare un successo commerciale assicurato; successo che trova rimettendo mani al suo film d'esordio, quel "Pusher" che nella metà degli anni'90 fece parlare di Refn come un "nuovo Tarantino" o "Danny Boyle danese"; "Pusher II" (sottotilato in Europa con l'evocativo "With blood on my hands") non solo dimostra come Refn non abbia davvero nulla a che vedere con gli autori con cui era stato accostato, ma anche come il suo cinema non abbia davvero nulla di derivativo o manierista.


Più che un sequel vero e proprio, "Pusher II" è uno spin-off della pellicola precedente; Franck è scomparso, perso nei meandri della sua non-vita; promosso a protagonista è dunque Tonny (un ispiratissimo ed intenso Madds Mikklesen) che, uscito di scena a metà del film precedente dopo un pestaggio, rientra qui in scena di nuovo pestato a sangue già nel prologo; rilasciato dalla galera, il giovane criminale tenta di rifarsi un nome per le strade di Copenaghen, ma il mondo che lo aspetta è per lui estraneo e straniante; condannato a vivere ai margini della società a causa del suo status di criminale e tossico, Tonny non trova l'accettazione dei suoi simili, in particolare del suo stesso padre, il boss detto "Il Duca", e deve inoltre fare i conti con un'inaspettata e spiazzante paternità.


Più che una discesa all'Inferno della non-vita, "Pusher II" è la descrizione di un Inferno vivo e tangibile; Tonny soffre per la mancata accettazione da parte della figura paterna e fa di tutto per entrare nelle sue grazie, fino alle estreme conseguenze; egli, tuttavia, non è soggetto attivo nel racconto: è più che altro un burattino perennemente in balia di piani ed azioni congegnati da altri, nei quali si trova inviaschiato e dai quali non riesce ad uscire a causa della sua quasi fancullesca ingenuità; è un bambino, in pratica, che percorre una strada altrui fino a scottarsi, un personaggio candido e mai manipolatore, messo all'angolo a causa della scarsa intelligenza.


Al contempo, Tonny è un padre, un uomo chiamato a svolgere un ruolo attivo che però non riesce ad espletare, giacchè egli stesso non sa come relazionarsi con la sua stessa figura paterna; in un girotondo di insulti, umiliazioni ed occasioni mancate, non riuscirà praticamente mai a dimostrare a nessuno il suo valore.
Il tema della circolarità viene piegato da Refn a vera e propria spirale che si contorce intorno al personaggio e che vorebbe inglobarlo in un limbo come quello in cui Franck si perdeva nel primo film.


E di fatto verso la fine questa circolarità diviene un pò ridontante: tutti i personaggi non fanno altro che schernire Tonny e rinfaccirargli la sua stupidità; pesantezza di scrittura che, tuttavia, riesce nell'impresa di aumentare il pathos e l'empatia verso il personaggio, il quale, lungi dall'essere un semplice amabile idiota, è di fatto una figura tragica e patetica; finchè nello splendido finale non trova la forza di ribellarsi, di infrangere, per la prima volta, la spirale degli eventi e di reclamare il rispetto (RESPECT come ha tatuato sulla nuca, ossia lontano dalla sua vista) che merita in quanto essere umano, fuggendo via, verso un futuro incerto ma, al contampo, carico di speranza per sè stessi o, almeno, per il proprio figlio


Sempre duro nella messa in scena, Refn torna a girare l'intero film con camera a mano; tuttavia questa volta usa un montaggio più serrato: i piani sequenza sono spezzati e le signole scene divengono così più corpose; la regia si fa più sicura, anche se meno compatta; dove la'tore da il meglio è,al solito, nella splendida fotografia, che immerge la notte di Copenaghen in una serie di monocromie (rosso e verde sopratutto) che donano un aspetto ancora più straniante alla pellicola.
"Pusher II" è un sequel (ma sarebbe meglio definirlo come "secondo capitolo") splendido: più coinvolgente dell'originale, anche se meno rigoroso, segna il ritorno alla piena forma di un autore che, da qui in poi, darà sempre di più alla Settima Arte.

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