giovedì 25 aprile 2013

Reds

di Warren Beatty

con: Warren Beatty, Diane Keaton, Jack Nicholson, Edward Herrmam, Paul Sorvino, Maureen Stapleton, Gene Hackman.

Biografico/Storico

Usa (1981)
















1981: George Lucas e Steven Spielberg hanno affossato pressocchè definitivamente le istanze autoriali e politiche della New Hollywood degli anni'70; tutto il potere produttivo torna in mano agli studios e gli autori faticano, nuovamente, a trovare i finanziamenti per le loro nuove opere; in un clima del genere, Warren Beatty co-sceneggia e dirige "Reds", biografia del grande reporter americano Jack Reed, fondatore del Partito Comunista d'America e membro dell'Internazionale Comunista nei primi anni dell'Uonione Sovietica, nonchè unico cittadino americano ad essere stato seppellito al Kremlino.



"Reds" non è una semplice biografia di Jack Reed, quanto uno spaccato del movimento radicale americano negli anni che vanno dal 1915 al 1919, visto attraverso gli occhi di Reed e di sua moglie, la scrittrice e giornalista Louise Bryant (interpretata da una magnifica Diane Keaton); gli ideali di libertà e libera espressione, le contraddizioni, le aspirazioni, l'aspra lotta politica e la definitva delusione sono narrate da Beatty mediante due registri opposti e complementari; da un lato vi è la narrazione classica: il regista ricostruisce la vita del personaggio mediante una messa in scena iperrealista, ispirata in parte ai lavori del grande David Lean; con un grosso sforzo produttivo, Beatty ricrea perfettamente l'America degli inizi del '900: il Greenewich Village con i suoi intellettuali liberal, le loro istanze di libero amore e libero pensiero puntualmente contraddette dai loro comportamenti, le lotte sindacali, il distacco tra questi e i lavoratori e la storia d'amore, tormentata e appasionata, tra Reed e la Bryant; Beatty fonde il dramma storico al melodramma persoale, la ricostruzione storica al triangolo amoroso (la passione tra la Bryant e lo scrittore Eugene O'Neill) con esiti brillanti ed appassionanti; per la prima volta, inoltre, una troupe americana riesce a girare in Unione Sovietica: la Rivoluzione Bolscevica viene così ricostruita nei luoghi in cui ha davvero avuto luogo; fatto all'epoca rivoluzionario, se si conta che la Guerra Fredda nei primi anni'80 fosse tutto fuorchè finita.


Lo stile visivo di Beatty è qui asciutto e originale: nonstante la grandezza di set e location, non esagera con i carrelli, predilige le inquadrature singole e gli stacchi classici; le scene sono veloci, rapidissime (talvolta anche meno di un minuto di durata) ma enfatiche, come pennellate forti e vive su tela; e le immagini sono a dir poco magnifiche: la composizione dei quadri è ai limiti del pittorico per la disposizione delle forme, le quali bucano letteralmente lo schermo, anche grazie alla splendida fotografia del mai troppo lodato Vittorio Storaro, che, come da tradizione, anche qui giustappone tonalità calde sull'arancio per le scene in diurna, ad un blu freddo e pieno per le scene in notturna, creando un effetto ammaliante.
Straordinarie, inoltre, le prove degli attori: Beatty e la Keaton sono perfetti nei ruoili dei coniugi Reed, ma la scena viene puntualmente divorata da un immenso Jack Nicholson, il quale da vita ad un Eugene O'Neill carismatico, senza andare mai spora le righe; il suo stile è qui trattenuto e sottile, come non lo si vedeva dai tempi de "La Sparatoria" (1966) di Monte Hellman, uno dei suoi primi ruoli importanti.



Il Beatty scrittore, invece, talvolta arranca: il suo stile classico mette al centro della narrazione i due protagonisti per praticamente tutta la pellicola, ma non riesce a dar loro spessore nei dialoghi, i quali sono spesso convenzionali e prevedibili; scrittura che, però, si fa più forte nella narrazione effettiva: Beatty tratteggia con amore i suoi personaggi e mette in scena senza mezzi termini e mezze misure i loro pregi e i loro difetti; la passione politca di Reed diviene, nelle mani dell'autore americano, perfetto esempio della lotta per l'ideale; l'idealizzazione è però lontanta: le contraddizioni del reporter e della moglie, le loro paure e, talvolta, la loro vigliaccheria, vengono riportate con dovizia di particolari e senza celarne anche gli aspetti più scandalosi, come il favore di Reed per la piega totalitaria che la Rivoluzione Sovietica prese a seguito della vittoria dei Bolscevichi o la gelosia della Bryant per le amanti di Reed, nonostante il suo favore ufficale per l'amore libero.



L'altro binario narrativo è invece dato dalle interviste ad amici e conoscenti dei due protagonisti: come in un film d'inchiesta (ma senza raggiungere i vertici del cinema di Francesco Rosi), Beatty inframezza la narrazione classica con quella di stampo documentaristico; l'intento dell'autore è chiaro: capire con certezza o qauntomeno con completezza chi fossero Jack Reed e Louise Bryant, compito "bigger than cinema" che può essere raggiunto solo superando il limite intrinseco della Settima Arte, ossia l'impossibilità di riprendere il reale; il quadro di riferimento appare così più vivido e completo: anneddoti di vita, giudizi e pregiudizi completano la ricostruione di un personaggio inedito nella cultura americana e, purtroppo, oggi pressocchè dinemticato.


"Reds" è un piccolo capolavoro del cinema americano: appasionato, interessante sia dal punto di vista stilistico che contenutivo, rappresenta l'ultimo rantolo di quella New Hollywood che sarebbe presto stata soppiantata dal cinema dei blockbuster e dei filmacci d'azione; e non è forse un caso il fatto che l'Accademy Award all'epoca lo nominò a ben 12 oscar, di cui ne vinse solo 3; naturalmente non quello per il miglior film, che, paradossalmente, non andò neanche allo splendido "I Predatori dell'Arca Perduta" di Spielberg, ma allo scialbo e furbo "Momenti di Gloria", perfetto esempio dell'ipocrisia di un'istituzione che, molto spesso, con l'arte non ha nulla a che vedere.

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