giovedì 18 luglio 2013

La Promessa dell'Assassino

Eastern Promises

di David Cronenberg

con: Naomi Watts, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Armin Mueller-Stahl, Jerzy Skolimowski, Mina E. Mina, Sarah-Jeanne Labrosse.

Noir

Canada, Usa, Inghilterra (2007)
















---SPOILERS INSIDE---

Nel 2007, con quasi quarant'anni di onorata carriera alle spalle, David Cronenberg si confronta per la prima (e finora unica) volta con un genere a lui insolito: il noir; il risultato è un triplice trionfo: l'ennesima pellicola (dopo "La Zona Morta" e "Spider" ) apparentemente lontana dai suoi temi, ma che in realtà gli permette di continuare il suo personale discorso sulla mutazione e sull'identità, la sua prova di regia più secca e rigorosa ed un noir dalla costruzione semplicemente geniale.



La notte del 20 dicembre, a Londra, la prostituta 14nne Tatiana (Sarah-Jeanne Labrosse), di origini russe, dà alla luce una bambina, che viene subito presa in custodia dall'infermiera levatrice Anna (Naomi Watts), anch'essa di origini russe; incuriosita dalla tragica sorte della ragazza, Anna decide di tenere il di lei diario per ricostruirne l'oscuro passato: sarà questo il primo passo che la porterà ad avvicinarsi al mondo della mafia russa in Inghilterra, rappresentato dal boss Semyon (Armin Mueller-Stahl), suo figlio Kirill (Vincent Cassel) e il loro braccio destro, il laconico autista Nikolai (Viggo Mortensen).


Il mondo della mafia russa viene dissezionato dall'occhio di Cronenberg e dalla penna di Steven Knight in modo chirurgicamente preciso; usi e costumi prendono vita grazie alla caratterizzazione dei personaggi e alle loro idiosincrasie, come l'avversione per l'omosessualità e il rapporto ambivalente verso la pedofilia: il vizio di Soyka viene infatti punito violentemente all'inizio del film, mentre nulla viene rimproverato al boss Semyon, reo di aver stuprato la piccola Tatiana; perno dell'organizzazione mafiosa è il "Vory v Zakone", il codice dei ladri, vero e proprio verbo della condotta che i criminali russi seguono come un libro sacro; Cronenberg, dal canto suo, esalta la componente fisica della tradizione criminale dell'est Europa: il corpo diviene foriero di simboli e marchi atti ad identificare ogni singolo soggetto, a raccontarne la storia e le attitudini; di fatto, la scena dell'incisione delle stelle sul corpo di Nikolai è costruita come una sacra cerimonia, un battesimo che dà la vita mediante il riconoscimento di un nuovo status sociale, che dona una nuova identità per il personaggio tramite l'incisione di una serie di tatuaggi; e il corpo di Nikolai diviene esso stesso feticcio filmico nella ormai celebre sequenza della sauna, in cui viene percosso, martoriato, squarciato e penetrato sotto l'occhio gelido e ieratico dell'autore, che qui si abbandona alla fisicità più genuina; il corpo è qui totem identitario definitivo, non per nulla i due criminali aggrediscono il personaggio di Mortensen scambiandolo per il figlio del boss a causa dei marchi impressi sul suo corpo.


La relazione tra soggetto e identità è di nuovo al centro della riflessione cronenberghiana; come il Tom Stall di "A History of Violence", anche Nikolai è un uomo stretto tra due ruoli differenti e antitetici: è un poliziotto sotto copertura, costretto così a seguire un codice morale che non riconosce come suo (il Vory v Zakone) e a comportarsi in maniera del tutto opposta alla sua vera natura; quest'ultima, di fatto, prende il sopravvento solo in due sequenze: il bellissimo finale, dove, ormai divenuto boss incontrastato dell'organizzazione, siede in solitudine, pregando in silenzio e con una palese espressione di tristezza sul viso, a rimarcare la sua repulsione per il ruolo che è costretto a ricoprire; e la scena del postribolo, dove dopo aver violentato una giovane prostituta la incita a resistere regalandone un santino: unica sequenza nell'intera filmografia di Cronenberg in cui il grande autore sembra, per un attimo, voler mettere da parte la sua proverbiale stoicità in favore di un'empatia genuina verso i personaggi, riuscendo davvero a commuovere senza scadere nel ricattatorio; la confusione identitaria del personaggio viene marcata dall'autore anche con uno stratagemma sottile e geniale: il look di Nikolai ricorda molto quello di Ed Harris in "A History of Violence", come a suggerire allo spettatore l'ideale continuità tra le due pellicole.


Il personaggio di Anna, d'altro canto, è il classico esempio di "essere umano privo di radici": deplora le sue origini russe e per tutto il film cerca di rimanerne a distanza; solo nel finale accetta il suo passato atavico, proferendo poche semplici parole nella sua lingua madre; e lo fa per custodire la piccola Christine, figlia di Tatiana: in pratica accetta il doppio ruolo di donna dell'est e madre. Gli unici personaggi dotati di una personalità rigida sono i due gangster, ossia Kirill e suo padre Semyon; il primo rappresenta la parte più volgare della mafia russa: perennemente sfatto e sopra le righe, soffre anche di un complesso di inferiorità verso il più dotato Nikolai (rimarcato nella scena della cantina, dove quest'ultimo viene inquadrato, dal punto di vista di Kirill, con inquadrature dal basso verso l'alto, ad enfatizzarne l'alta statura morale e materiale), nonché verso il padre, che cerca sempre di compiacere senza mai riuscirci davvero. Il personaggio di Semyon è invece il perfetto esempio del mafioso in terra straniera: dai modi eleganti e flemmatici, si insinua dolcemente nella vita di Anna, rivelando a poco a poco e inesorabilmente la sua natura genuinamente maligna.


Se lo stile di Cronenberg, come detto, raggiunge qui il vertice del rigore senza mai scadere nello sciatto, non meno lodevole è il lavoro di sceneggiatura operato da Knight, il quale ribalta, in parte, la classica costruzione del noir; di fatto, la storia si consuma tutta nei primi minuti del film, con l'uccisione di Soyka e la morte di Tatiana; per i restanti 90 minuti assistiamo alle conseguenze di azioni effettuate nel passato: la narrazione è quasi esclusivamente descrittiva, concentrandosi sui personaggi e le loro relazioni, nonché sulla scoperta del passato di Tatiana, tradita dalle fallaci "promesse dell Est" ("Eastern Promises" appunto), che l'hanno portata ad emigrare in Occidente solo per trovare la sventura; la proverbiale fatalità finale dell'Hard Boiled viene qui evitata in favore di un clomax solo apparentemente risolutivo, che Cronenberg costruisce in modo secco e volutamente artefatto, con un semplicissimo piano a due per il bacio tra Nikolai ed Anna; e a coronare del tutto il film come capolavoro ci pensano le strepitose interpretazioni degli attori: dalla laconicità carismatica di Mortensen (giustamente nominato all'oscar e ad un'altra dozzina di premi internazionali) alla dolcezza materna della Watts, passando per un Armin Mueller-Stahl paterno e terribile ed uno strabiliante Vincent Cassel volgare, perennemente sopra le righe e (perciò) semplicemente perfetto.


Come nella migliore tradizione del noir francese e del romanzo popolare russo, "Eastern Promises" è un film in apparenza freddo, la cui patina rigorosa e distaccata cela un turbine di passioni irrefrenabile ed irresistibile; Cronenberg, dal canto, porta a compimento la sua disanima sulla relazione tra corpo ed identità: nei successivi "A Dangerous Method" (2011) e "Cosmopolis" (2012) la sua ricerca filosofica si concentrerà dapprima sulla storia della psicologia e, nel secondo, sulla dissezione del post-umanesimo imperante nel 21mo secolo.

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