giovedì 1 agosto 2013

Gemini

Soseiji

di Shinya Tsukamoto

con: Masahiro Motoki, Ryò, Yasutaka Tsutsui, Masako Motai, Renji Ishibashi, Tadanobu Asano.

Drammatico

Giappone (1999)

















---SPOILERS INSIDE---

Sebbene non annoverabile tra le opere più riuscite di Tsukamoto, "Gemini" rappresenta un punto di svolta essenziale nella filmografia del grande regista; per la prima volta, infatti, l'autore abbandona il tema del risveglio della carne e dei sensi e si dedica all'adattamento di un soggetto nato come racconto; il che permette lui di concedere una tridimensionalità inedita ai suoi personaggi e, sopratutto, di descriverli in un ottica non necessariamente negativa.


Agli inizi del '900, il giovane medico Yukio Daitokuji (Masahiro Motoki, poi interprete dello splendido "The Bird People in China" di Takashi Miike), ritorna nella casa paterna dopo aver servito in guerra; di estrazione alto borghese, Yukio detesta gli abitanti dei bassifondi, che vede come belve appestate, senza però conoscere una atroce verità: egli ha un fratello gemello, Sukekichi, abbandonato ancora in fasce e cresciuto tra i mendicanti; oramai conscio delle sue origini, Sukekichi si nasconde nella casa dei Daitokuji, uccide i genitori di Yukio, lo segrega in un pozzo e si insinua nella sua vita, in particolare nel rapporto amoroso con la sua promessa sposa Rin (Ryò), un tempo mendicante e donna dello stesso Sukekichi.



Il racconto di partenza fu scritto da Tarò Irai sotto lo pseudonimo di Edogawa Ranpò, storpiatura di "Edgar Allan Poe", per disvelare fin dall'origine l'impianto gotico occidentale che ne è alla base; e di fatto, nella prima parte la pellicola si struttura come un qualsiasi thriller gotico della tradizione europea: a farla da padrone è l'atmosfera d'antàn, i sussurri, le sensazioni appena accennate del protagonista che si sente spiato da una presenza impalpabile e che si disvela solo alla fine del primo atto; tuttavia, Tsukamoto dimostra di non essere affine alla costruzione della tensione propria del thriller gotico: la suspance latita, in particolare nella scena del primo omicidio, saggiamente liquidata con un anticlimx più efficace della normale costruzione in crescendo da un punto di vista strettamente estetico, ma non altrettanto da quello emotivo; il carattere politico del soggetto di partenza, inoltre, viene posto in secondo piano dall'autore rispetto all'analisi psicologica dei personaggi, il che fa perdere alla narrazione parte del mordente; ed è un peccato visto le felici intuizioni visive dell'autore: lo scarto tra i bassifondi e la classe agiata viene enfatizzata da fotografia, costumi e stile di costruzione scenica in modo a dir poco sbalorditivo, ma tutto viene subordinato non alla critica sociale, ma al semplice espressionismo psicologico.


Ad ogni modo, il malriuscito impianto gotico del primo atto non impedisce all'autore di mostrare il suo talento; per la prima volta, Tsukamoto si rifà alla tradizione ozuana e costruisce le inquadrature usando la camera fissa rasoterra, posizionando i personaggi sui terzi per enfatizzarne lo scontro ideale tra gli stessi; il tutto viene poi alternato al suo stile personale, fatto di splendidi e ipercinetici movimenti con camera a mano e fotografia monocromatica; il risultato, lungi dall'essere barocco, è spettacolare e ben rispecchia lo stato di alterazione mentale dei personaggi; il culmine dello stile viene però raggiunto nella descrizione dei bassifondi: lo squallore con cui i mendicanti sono visti dalla classe borghese viene messo in scena mediante un make-up disumanizzante sugli attori, truccati come morti viventi, con costumi fatti di pelle di animali morti, perlopiù topi e cani, scenografie fatte di catapecchie sventrate e cadaveri in putrescenza; a completare il quadro ci pensano la fotografia totalmente basata sulle varie sfumature di rosso, per enfatizzare la morbosità del luogo, e dai movimenti di macchina veloci e sconnessi, perfettamente giustapposti a quelli fluidi e controllati usati nelle scene ambientate nella casa dei Daitokuji; magnifica, in particolare, è la contrapposizione tra le due scene di sesso tra Rin e Sukekichi: la prima, nei bassifondi, è una danza indiavolata in colori sulfurei, la seconda un ballo lento ed elegante immerso in una splendida luce blu.


E' nella descrizione dei personaggi, come si diceva, che l'opera acquista il suo effettivo valore; Yukio, Sukekichi e Rin sono il classico triangolo amoroso presente in gran parte dell'opera di Tsukamoto, ma per la prima volta l'autore dipinge i tre personaggi non come meri simboli delle tesi che esso vuole portare avanti, bensì come persone dotate di un carattere forte, impossibile da etichettare; Yukio è il classico esponente dell'alta borghesia dell'epoca: ricco è spocchioso, ripete di voler fare il medico per aiutare le persone, ma di fatto aiuta solo i membri della sua stessa classe sociale per aumentare il suo prestigio, come mostrato nella scena della tempesta; nutre un disprezzo profondo per i poveri, che vede come belve appestate prive di dignità alcuna; tuttavia, nell'economia del racconto egli non rappresenta il mero simbolo della corruzione propria della sua classe sociale: nel bellissimo finale, egli infatti si redime e decide di curare i mendicanti; questo perchè il confronto con Sukekichi lo ha trasformato: è venuto in contatto con la sua parte più nascosta, da un lato più bestiale, dall'altro più umana; e ciò mediante l'esilio nel pozzo, un luogo sotterraneo, immerso nel fango e nei vermi, proprio come le persone che tanto disprezzava e delle quali ora comprende la miseria.


Sukekichi, d'altro canto, non è il mero alter-ego di Yukio, tantomeno una sua "metà perduta", come invece avveniva per i due protagonisti dello splendido "Inseparabili"(1988) di David Cronenberg; la sua è una personalità completa, come viene mostrato nella scena del suo assassinio, in cui trasale nel credere di vedere la salma del fratello; ciò perchè le sue azioni non sono motivate dalla semplice vendetta verso i genitori (pur consumata nei primissimi minuti) o da uno spirito di rivalsa sociale, sì presente, ma non onnicomprensivo; il motore che spinge il personaggio è, più semplicemente, il rancore verso una vita normale che sarebbe potuta essere sua, ma che gli è stata negata a causa di un difetto fisico insulso (un voglia a forma di serpente sulla gamba); la sostituzione del fratello è un semplice atto di riappropriazione di una vita, non della res paterna negatagli; e di fatto, egli possiede solo la sua donna, Rin ,e lo fa come se fosse Yukio solo per punirlo per il suo presunto abbandono.
Ed è proprio il personaggio di Rin ad essere quello più sfaccettato; in barba alle accuse di misoginia che si porta dietro fin dai tempi di "Tetsuo", Tsukamoto tratteggia il personaggio femminile con amore e simpatia (come nella bella scena dell'"attesa in riva al fiume"): ella è una donna innamorata a tal punto da sfregiare il suo stesso corpo affinché somigli a quello di Sukekichi ed è l'unica a provare pietà dei più deboli, siano essi una madre ed un bambino appestati, sia un gruppo di appestati affamati, ovverosia gli ultimi tra gli ultimi; sopratutto, Rin è l'unica a non essere mossa da desideri egoistici: non uccide, se non quando viene minacciata e non ruba se non per sfamarsi, a differenza di Sukekichi; tutto ciò che vuole è ricongiungersi con quest'ultimo, che rivede nel fratello.
E per la prima volta il terzetto di protagonisti non viene castigato da un finale apocalittico: i difetti di Yukio, come si diceva, vengono sanati dal confronto con un mondo che ignorava e Rin riesce a coronare il suo sogno d'amore.


Inutile lodare le performances degli attori (tra l'altro costretti a recitare con le sopracciglia rasate, come maschere del teatro tradizionale giapponese, per enfatizzare la drammaticità dei loro ruoli), in particolare di Masahiro Motoki: semplicemente perfetto in ogni scena: nel doppio ruolo dei due gemelli sa perfettamente quando andare sopra le righe, quando sottrarre, non sbaglia un tempo, né un'espressione, regalando al pubblico un'interpretazione vitale e sentita.
"Gemini" è una pellicola coinvolgente ed affascinante: seppur poco riuscita per alcuni aspetti, essa rappresenta il punto di inizio di una seconda fase nella carriera di Tsukamoto, il quale, avvicinandosi sempre più ai suoi personaggi, firmerà capolavori dal calibro di "A Snake of June" (2002) e "Vital" (2004).

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