mercoledì 28 agosto 2013

Il Mercante delle Quattro Stagioni


Händler der vier Jahreszeiten

di Rainer Werner Fassbinder

con: Hans Hirschmüller, Irm Hermann, Hanna Schygulla, Ingrid Caven, Andrea Schober, Gusti Kreissl.

Drammatico

Germania (1971)








Nella vasta ed eterogenea filmografia di Rainer Werner Fassbinder il melodramma classico può essere usato come denominatore comune di molte opere; da sempre innamorato dei lavori di Douglas Sirk, in particolare del suo capolavoro "Come Foglie al Vento" (1956), Fassbinder ha cercato di replicarne la dirompente forza drammatica ed estetica; "Il Mercante delle Quattro Stagioni", pur non rientrando tra le migliori opere del grande regista, può essere visto come un perfetto paradigma di questa sua personale propensione.


Protagonista del film è Hans Epp (Hans Hirschmüller), fruttivendolo ambulante un tempo arruolatosi nella legione straniera; Hans è vittima dei suoi rapporti disfunzionali con la propria famiglia, in particolare con la tirannica madre (Gusti Kreissl), è incastrato in un matrimonio privo d'amore con l'ipocrita Irmgard (Irm Hermann) e schiavo della bottiglia, unico rimedio al malessere che lo affligge; la sola luce nella sua vita è data dal rapporto con la sorella Hanna (Hanna Schygulla) e dagli incontri occasionali con una giovane donna (Ingrid Caven), suo vero ed unico amore.


La costruzione melodrammatica usata da Fassbinder si rifà in tutto e per tutto a quella di Sirk; l'intera narrazione è basata sull'accumulazione di tragedie e misfatti di cui Hans è vittima; in particolare, l'occhio dell'autore è puntato contro il nucleo familiare, visto come coacervo di un'ipocrisia totale, perfettamente incarnata dalle figure femminili di madre e moglie; la prima, come accennato, è un vero e proprio tiranno, in grado solo di umiliare il figlio, come nella scena d'apertura con il ritorno dalla legione straniera, e di frustrarne le ambizioni, senza tenere conto delle sue effettive aspirazioni; il personaggio di Irmgard è, d'altro canto, ancora più ipocrita: preoccupata di un eventuale tradimento, non si fa però remore a prostituirsi in assenza del marito e a manipolare il suo amante una volta che questi si insinua, con successo, nel menagè familiare come assistente di Hans.


A queste due donne "distruttrici", Fassbinder contrappone due figure salvifiche, interpretate da due delle sue muse: Hanna Schygulla ed Ingrid Caven; la prima è la sorella di Hans, l'unica in grado di comprenderne le ansie e le frustrazioni, nonché l'incarnazione della sua rabbia: è la sola a scagliarsi contro la cattiveria degli altri parenti, che taccia apertamente di ipocrisia in più occasioni; la seconda, invece, viene indicata semplicemente come "il solo ed unico amore": una donna che in passato ha rifiutato le attenzioni di Hans non per cattiveria, ma per questioni di semplice etichetta, e che ora gli si concede sporadicamente, donandogli il solo affetto genuino che l'uomo conosce.


Dal canto suo, Hans è il classico esempio di personaggio da dramma psicologico: codardo ed insicuro, subisce passivamente gli eventi e la cattiveria degli altri senza riuscire a contrastarla; come il Franz Walsh di "Dèi della Peste" (1969) incarnava l'archetipo del protagonista del noir classico, Hans è l'incarnazione del protagonista del melodramma, condannato anch'esso alla disfatta fin dalle premesse; il suo unico sfogo è l'autodistruzione, incarnata dall'alcolismo ricercato ossessivamente fino alla morte.Per tutta la prima parte del film assistiamo alle sventure che gli ricadono in testa e a cui non sa porre rimedio: dalla perdita del lavoro come poliziotto alla crisi matrimoniale, dalla cattiveria dei parenti alla ignavia degli amici, Hans subisce passivamente ogni evento per precipitare, nella seconda parte, in uno stato depressivo che ne anticipa la definitiva autodistruzione, simbolo del fatalismo proprio del melodramma.


Memore della lezione di Sirk, Fassbinder esaspera i colori, ad imitare la mitica fotografia fiammeggiante dell'autore americano: ogni contrasto visivo è bandito in favore di colori vivi e luci nitide; la messa in scena, però, appare così spoglia e povera; ogni inquadratura viene costruita dall'autore cercando la massima profondità di campo possibile, con le scenografie usate come punti di fuga e i soggetti messi il più lontano possibile dalla mdp; il risultato non sempre paga, anche se la maestria dell'autore si rivela in almeno due sequenze: la scena della distruzione del disco, emblema della caduta del protagonista, e il confronto finale in famiglia, girato con una serie di splendidi carrelli laterali.


Il punto debole dell'opera risiede però nella sua freddezza; il dramma di Hans viene imbastito da Fassbinder con poca enfasi, l'intera drammaticità, che pur esplode in più momenti, viene sottolineata unicamente dalle interpretazioni dei protagonisti, che recitano in stato semi-catatonico come per mimare lo stato di alterazione dei loro personaggi; non ci si appassiona davvero mai alle disavventure di Hans e l'intera pellicola finisce così per essere un mero saggio sul melodramma classico, riuscito ma inerte; ed è un peccato, visto l'immenso talento che l'autore dimostrerà più avanti, in altri melodrammi anch'essi fortemente influenzati da Sirk ma decisamente più riusciti, quali "Il Diritto del Più Forte" (1975) ed il capolavoro "Un Anno con 13 Lune" (1978).

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