sabato 24 agosto 2013

Vital- Autopsia di un Amore

Vital

di Shinya Tsukamoto

con: Tadanobu Asano, Nami Tsukamoto, Kiki, Kazuyoshi Kushida, Ittoku Kishibe.

Drammatico

Giappone (2004)














Da sempre ossessionato dal tema del corpo e della sua mutazione, Tsukamoto, con questo "Vital", espande la sua riflessione oltre i limiti della fisicità per tentare di rispondere ad uno dei massimi quesiti filosofici: dove risiede l'anima? E lo fa con un opera di inusitata sensibilità e delicatezza.


A seguito di un tragico incidente stradale, Hiroshi (Tadanobu Asano) perde la memoria; tornato a casa, decide di iscriversi alla facoltà di medicina, dove incontra la bella ed ambiziosa studentessa Ikumi (Kiki); superata la parte teorica del corso, i due iniziano la pratica di dissezione sul cadavere di una giovane ragazza; man mano che l'autopsia del corpo procede, Hiroshi inizia a ricordare il suo passato e scopre che il cadavere che disseziona apparteneva a Ryoko (Nami Tsukamoto), la sua fidanzata deceduta nell'incidente.


La pratica della dissezione è la perfetta metafora del lavoro di Tsukamoto: con un bisturi immaginario, l'autore apre i corpi dei protagonisti e si insinua nelle loro coscienze, nei meandri più oscuri della loro psiche; il tormentone del "menagé a trois" torna anche qui, ma l'enfasi viene posta sopratutto sul rapporto tra il protagonista e il dolore proprio della scoperta del lutto; l'amnesia è qui l'emblema della non-conoscenza, dell'incapacità di percepire parte di sé e degli altri propria di ogni persona; la conoscenza dell'altro, per Tsukamoto, passa necessariamente per l'esplorazione del corpo, qui visto come mero involucro di carne che, privato della vita, viene svuotato di valenza.


Pur ridotto ad un cumulo di carne inanimata, il corpo resta pur sempre il custode di quella "cifra oscura", quel qualcosa in più che permette agli essere umani di vivere: l'anima, intesa sia come "soffio di vita" che come coscienza; la conoscenza totale dell'individuo, dunque, benché debba passare attraverso il corpo fisico, non si esaurisce con esso; di fatto, Hiroshi comincia a ricordare con l'inizio della dissezione, ma è solo con il confronto con il fantasma di Ryoko che comincia a comprenderla davvero; eppure, nemmeno l'incontro con la parte più intima dell'Io permette ad Hiroshi di capire davvero la tristezza della compagna: le ragioni della sua depressione vengono lasciate ai margini del racconto, come un'incognita impossibile da decifrare.


La "realtà alternativa" vissuta dai due amanti diviene ben presto più vera del reale: Hiroshi si perde nel mondo misterioso e selvaggio di Ryoko e solo lì riesce davvero ad essere felice; la depressione che lo attanaglia sparisce solo con la comprensione della donna un tempo amata; allo stesso modo, quest'ultima è davvero felice solo in questa strana "terra di nessuno", nella quale la gioia di vivere viene incarnata da un ballo tribale sensuale e sfrenato.


Tuttavia, la storia d'amore tra Ryoko e Hiroshi altro non è che l'eco della vita reale e come tale è destinata a svanire: nonostante la promessa d'amore del suo amante, Ryoko svanisce, a sottolineare il mistero di quel "quid plus" trovato mediante il corpo, ma impossibile da decifrare in via razionale, proprio perché estraneo ad ogni razionalità.


Abbandonate le atmosfere cupe ed opprimenti dei lavori precedenti, Tsukamoto immerge tutte le scene topiche ambientate nel mondo reale in monocromie blu e arancio, come da tradizione, ma lascia immerse nella luce naturale quelle ambientate nel mondo ideale; la realtà diviene così onirica e il sogno realistico, in un capovolgimento stilistico ideale metafora della percezione distorta del protagonista. Per la prima volta, inoltre, l'autore asciuga il suo stile solitamente trabordante: niente più montaggio serrato e inquadrature sghembe, la messa in scena si fa più compatta e sicura, ancora più che in "A Snake of June" (2002), di pari passo con la forte sensibilità che l'autore dimostra verso personaggi e temi.


Ed è proprio questa sensibilità a stupire; se il tema della depressione era già stato portato in scena con efficacia in "Bullet Ballet" (1998), qui Tsukamoto raggiunge una nuova vetta simbolica; l'alienazione di Hiroshi viene perfettamente simboleggiata dalle scenografie squallide e dalla magnifica interpretazione di Tadanobu Asano (che già aveva lavorato con l'autore comparendo in un piccolo ruolo in "Gemini" nel 1999): il grande attore interpreta lo stato depressivo rimanendo sempre tra le righe e restando in silenzio per la gran parte della durata della pellicola. Le scene di dissezione sono costruite in modo pudico: i dettagli più cruenti sono lasciati fuori campo, benché l'anatomia del cadavere venga ripresa; lo splatter, proprio della prima parte della carriera dell'autore, è qui un mero ricordo, sostituito da una messa in scena più consona ai temi e all'atmosfera.


Tuttavia, è nella parte finale che Tsuakmoto colpisce dritto al cuore: l'addio a Ryoko viene costruito mediante una serie di semplici inquadrature, perlopiù primi piani di Asano e Kiki; e nella scena del funerale, l'autore inquadra il protagonista sempre e solo di spalle, dimostrando il massimo rispetto per il dolore, in un apoteosi di pudicizia che molti cineasti (o presunti tali) nostrani dovrebbero imparare.



"Vital" è un'opera sorprendente e commovente, l'ennesima prova riuscita di un grandissimo autore, che qui dimostra di poter fare a meno di molte delle sue ossessioni stilistiche e contenutistiche per trattare egregiamente un tema, il lutto, sicuramente non facile.

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