venerdì 13 settembre 2013

Ghost World

di Terry Zwigoff

con: Thora Birch, Scarlett Johansonn, Steve Buscemi, Brad Renfro, Ilena Douglas, Bob Balaban.

Usa (2001)




















Durante gli anni '90 si è sviluppata, nel cinema americano indipendente, una corrente artistica del tutto particolare, che nel decennio successivo sarebbe stata ribattezzata con il generico nome "Indie"; fanno parte di tale categoria tutti quei film prodotti con un budget piccolo, quasi irrisorio per gli standard hollywoodiani, nel quale compaiono attori di richiamo e dal talento consolidato, oltre che a giovani esordienti, e nel quale le storie sono volutamente minimali, basate sulla descrizione di personaggi ordinari e disfunzionali, rappresentanti della middle-class tanto amata/odiata in quegli anni; corrente nella quale la messa in scena, al pari delle storie, è anch'essa minimale ed invisibile, al contrario di quanto accadeva nel cinema underground degli anni '70 e '80, in particolare nel cinema di Gus Van Sant, il quale costruiva storie di ordinaria follia con narrazioni complesse ed articolate; in questa categoria possono rientrare le commedie grottesche e acide di Todd Solondz o quelle più intime e garbate del primo Wes Anderson, senza contare i lavori provocatori ed autocompiaciuti di Larry Clark; sull'onda di tali influenze, nel 1997 il fumettista Daniel Clowes crea e disegna "Ghost World", serie di episodi nel quale l'autore disseziona l'ipocrisia della middle-class americana, ma anche la stupida superbia di chi vuole opporsi a quel modello di vita; e nel 2001, Terry Zwigoff, già autore di un bel documentario sul cartoonista Robert Crumb, traspone su schermo il mondo acido e sfatto di Clowes, creando un piccolo grande saggio di cinema intimista ed impegnato.


Al centro della vicenda ci sono Enid (Thora Birch) e la sua migliore amica Rebecca (Scarlett Johansonn), diciottenni neo-diplomate in cerca di una via da seguire nella vita; Enid è intelligente e cinica: odia profondamente la cittadina di provincia in cui è nata e cresciuta e sogna di andare via; Rebecca le da man forte e insieme decidono di partire per il college; durante l'estate, Enid è però costretta a lavorare e a frequentare un corso d'arte; attività che la porteranno a scontrarsi con i peggiori esponenti della provincia americana, ma anche a conoscere il timido quarantenne Seymour (Steve Buscemi), la cui arguzia e intelligenza la colpiranno profondamente.


Vero e proprio spaccato di vita, "Ghost World" mette in scena l'America della piccola provincia, quella più nascosta e retrograda, più stupida e futile e per questo più autentica; il mondo in cui Enid si muove è vuoto, i personaggi che lo popolano sono tutti genuinamente ignoranti e cafoni, tra maschi adolescenti buoni solo a bere e scopare, ragazzette appena maggiorenni pronte a tutti pur di farsi accettare, giovani aspiranti critici d'arte persi nelle loro astruse elucubrazioni intellettualoidi, adulti idioti o, peggio, totalmente ignoranti; su tutto vige una patina di ipocrisia, di autocompiacimento: a nessuno interessa davvero l'arte o la musica, tutti sono impegnati in rapporti freddi e senza via d'uscita; in un'analisi spietata e cinica, nemmeno il personaggio di Enid è davvero positivo; per quanto intelligente ed arrabbiata, la ragazza è schiava della sua prepotenza, della sua presunta superiorità, che riesce ad estrinsecare solo mediante critiche fredde e polemiche, che di fatto non la portano da nessuna parte; all'egoismo di Enid si contrappone il pragmatismo di Rebecca: anch'essa cosciente dei piccoli-grandi orrori che la circondano, non si limita a criticare tutto e tutti, ma si rimbocca le maniche e cerca davvero di uscire dallo stallo apatico che la ammorba; pragmatismo che la porta a scontrarsi persino con Enid, la quale vede nella voglia di stabilità dell'amica una forma di arrendevolezza agli eventi, anzicchè coglierne i lati positivi.


Se le due ragazze rappresentano i due lati, opposti e complementari, della reazione dell'intelligenza al conformismo piccolo-borghese, il personaggio di Seymour rappresenta un'altra forma di emancipazione, più sottile ed emotiva; timido e represso, Seymour è l'individuo che a causa della sua sensibilità non riesce a trovare un posto nella società, la quale lo accetta come lavoratore, ma non come essere umano; sensibilità che lo porta a non conformarsi e a sviluppare gusti che risultano "strani" o addirittura "folli" ai più; e Steve Buscemi si dimostra perfetto nell'incarnare la fragilità del personaggio senza ridurlo ad una macchietta.
In un mondo in cui ogni forma di maturità è evanescente (come un fantasma, appunto), Seymour appare l'unica persona interessante agli occhi di Enid, la quale si aggrappa ad egli in tutti i modi, dapprima cercando di correggere le anomalie della sua vita, poi cercando di usarlo come appiglio per non precipitare nel baratro della perdizione: perso ogni punto di riferimento ed ogni speranza di riscatto a causa del suo stesso carattere, Enid vede nel timido ed introverso quarantenne l'unico compagno possibile; ma la loro relazione non può durare, non a causa della cattiveria del mondo in cui i due si muovono, bensì della loro stessa incapacità di comprendersi e rispettarsi. La fine di ogni certezza e l'accettazione dei propri limiti divengono l'unica vera via per superare la bruttezza di una società vuota; tuttavia, non è la sola coscienza degli stessi a permettere il superamento: il pragmatismo, inteso come accettazione di una forma di compromesso, sembra essere l'unica via da percorrere; sempre a patto di voler davvero ritrovarsi in un mondo con delle certezze, affettive ed effettive che siano.


Il caos adolescenziale viene portato in scena da Zwigoff con uno stile minimale, ma non banale; tutte le scene sono costruite con pochissime inquadrature, quasi tutte senza controcampi per enfatizzare il lavoro degli attori; i quali, dal canto loro, riescono davvero a bucare lo schermo: oltre alla già citata ottima performance di Buscemi, sono da lodare anche le due protagoniste; Thora Birch (che giusto l'anno prima era stata la figlia problematica di Kevin Spacey in "American Beauty", altro ritratto di una società alla deriva, ma molto meno riuscito) è semplicemente perfetta nei panni della cinica e petulante protagonista, della quale riesce a anche ad enfatizzare il lato più umano e fragile; Scarlett Johansonn, d'altro canto, non brilla certo per le sue doti recitative, ma riesce comunque a rendere credibile un personaggio non troppo complesso, ma di sicuro non facile.


Piccolo gioiello del cinema indipendente americano, "Ghost World" è una pellicola acida, ma mai autocompiaciuta, che ritrae l'implosione di un gruppo di personaggi in modo attento e garbato, senza mai scadere nel sensazionalismo fine a sé stesso; ed è un merito enorme all'interno di una filmografia (quella americana) che troppo spesso distrugge storie potenzialmente interessanti a causa della superficialità dello sguardo con cui vengono narrate.

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