martedì 8 ottobre 2013

Pop Skull

di Adam Wingard

con: Lane Hughes, Brandon Carroll, Melanie Henry, Hannah Hughes, Jeff Dylan Graham, E.L. Katz, Jennifer Price.

Usa (2009)















---SPOILERS INSIDE---

Subito dopo la fine delle riprese di "Home Sick" (2007), Adam Wingard inizia la produzione del suo secondo lungometraggio, che terminerà solo due anni dopo, nel 2009: "Pop Skull"; più ambizioso del gonzo-slasher degli esordi, "Pop Skull" è un intelligente mix di video arte e cinema di finzione che affonda le sue radici nell'horror psicologico e nel filone del cinema sulla tossicodipendenza, i cui punti di riferimento sono due cult del calibro di "Trainspotting" (1996) e sopratutto "Requiem for a Dream" (2000)


Nel portare in scena la strana storia di depressione post-separazione e dipendenza da sostanze psicotrope di Daniel (Lane Hughes), Wingard abbatte i modelli di riferimento esasperandone lo stile; le visioni lisergiche qui non sono circoscritte a singole scene o eventi: è l'intera pellicola a riprendere lo stato allucinogeno del suo protagonista; la narrazione si sfalda fin dai primissimi fotogrammi: ogni scena viene spappolata e "sparsa" per tutta la durata del film; il mix di paura, nostalgia, dolore e stupefazione prende la forma di clip espressioniste, fatte di primi piani subliminali, loop esasperati, primissimi piani mischiati a rari campi lunghi, il tutto illuminato con monocromie arancio e luci neutre contrastatissime; l'intento dell'autore di ricreare il caos percettivo del suo protagonista è perfettamente riuscito: "Pop Skull" è una vera e propria esperienza sensoriale in grado di disorientare, stordire e spaventare, puro cinema underground che entra dritto nel cervello dello spettatore.


Nel ritrarre la spirale di dipendenza e depressione, Wingard mostra una sorta di pudore, un rispetto inedito verso il suo personaggio, descritto si come un tossico votato all'autodistruzione, ma anche e sopratutto come un vittima della spirale autodistruttiva cui si è condannato; la tossicodipendenza, pur non esaltata, viene vista con distacco e non come la causa del male, bensì come una conseguenza, una sorta di catalizzatore che porta la vittima al passo successivo, ovvero la distruzione dell'oggetto del proprio odio; la droga (qui sotto forma di pillole psicotrope) è il viatico per la totale perdita del contatto con la realtà: a seguito della (gigantesca) consumazione, Daniel comincia a vedere i fantasmi di un omicidio/suicidio avvenuto anni prima, arrivando a non distinguere più la realtà dal sogno e il presente dal passato; distruzione delle barriere del reale e del tempo che presagisce anche il superamento della distinzione tra amore e odio: nel finale arriverà ad uccidere il suo rivale in amore e forse anche il suo stesso amore... forse, giacchè la totale incapacità di discernere il "qui e ora" porta anche alla parziale incapacità di agire.


Girato con soli seimila dollari di budget, il secondo lungometraggio di Wingard ne conferma le doti di cineasta indipendente e sperimentatore, in grado di mischiare con nonchalance esigenze narrative e fascinazioni proprie del cinema sperimentale più puro; oltre a rivelarne, più che in "Home Sick", le eccellenti doti di montatore: la forza visiva del film si deve infatti quasi esclusivamente all'assemblaggio subliminale di esperimenti visivi, riprese in digitale ed inserti video, in un mash-up talmente riuscito da ricordare i fasti dell'insuperabile "Natural Born Killers- Assassini Nati" (1994).


Spettacolare e affascinante, "Pop Skull" è probabilmente l'opera più riuscita ed interessante di Adam Wingard, che con poche pretese e molto stile riesce davvero a far penetrare lo spettatore in una psiche alla deriva senza scadere mai nell'ovvio o nel ricattatorio.

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