domenica 23 marzo 2014

47 Ronin

di Carl Rinsch.

con: Keanu Reeves, Hiroyuki Sanada, Rinko Kikuchi, Tadanobu Asano, Ko Shibasaki, Min Tanaka, Jin Akanishi, Cary-Hiroyuki Tagawa.

Avventura/Fantastico/Storico

Usa (2013)













La storia dei 47 ronin è uno dei più fulgidi esempi di coraggio, senso dell'onore e rispetto per l'autorità di tutta la Storia dell'Uomo; confinarla entro i soli limiti della cultura giapponese (in particolare nell'ambito dell'ortodossia del Bushido) e del periodo storico in cui essa è avvenuta (gli inizi del XVIII secolo) è infatti riduttivo: la lotta e il sacrificio dei guerrieri samurai caduti in disgrazia è divenuta, nel tempo, un vero e proprio archetipo del rispetto dei valori della società civile universalmente intesa.


Storia che si svolge in poco più di un anno: nel 1703, il giovane principe Asano Naganori è ospite presso il castello dello shogun (il ministro della guerra), dove viene pesantemente insultato dal vecchio maestro del protocollo, il nobile Kira Yoshinaka; in preda all'esasperazione, il giovane Asano estrae la spada e ferisce il suo deprecatore, violando le regole del palazzo; per evitare ritorsioni, lo shogun lo obbliga a commettere harakiri e il giovane principe, conscio del suo errore, accetta senza rimorsi; tuttavia, i suoi 47 vassalli, ora divenuti samurai senza padrone (ronin appunto), una delle condizioni sociali più deprecabili all'epoca, meditano vendetta; una rivalsa che, però, pianificano per circa un anno, durante il quale la tragica storia di Asano si diffonde per le città e le campagne, facendo crescere la simpatia verso i suoi ex servitori; nel 1703, esattamente un anno dopo la morte del loro signore, i ronin attaccano in gruppo il castello di Kira, lo espugnano e uccidono il signore, che secondo la leggenda si era rinchiuso in un armadio durante tutta la durata dei combattimenti. Per aver infanto la legge, i ronin sono però costretti anch'essi ad eseguire il suicidio rituale, su sanzione dello shogun; pur acclamati dalle genti come eroi, i 47 accettano la condanna perchè consci dell ignominia della loro impresa: si recano spontaneamente presso il palazzo del ministro e si sottomettono alla loro spada senza alcuna protesta.


Una storia, come è evidente, talmente epica e struggente da essere diventata fin da subito parte della cultura popolare nipponica: le versioni teatrali classiche e moderne volte a rievocarla non si contanto; anche al cinema gli adattamente sono stati diversi, ma il migliore è senza dubbio il capolavoro di Kenji Mizoguchi "I 47 Ronin Ribelli" (1941), superbo esempio di fusione tra la grammatica filmica e le istanze del teatro kabuki.
Sull'onda del revival del cinema "epico" post "300", la parabola dei 47 ronin ben si prestava ad una rivisitazione in chiave apologetica, magari impreziosita dai valori produttivi che solo Hollywood può garantire; e spiace dirlo, ma la versione a stelle e strisce del mito nipponico è quanto di più osceno la Mecca del Cinema avesse potuto tirare fuori dalla storia originale.


A grandi linee, la trama riprende gli avvenimenti storici, immergendoli però in un contesto fantastico; e al fianco dei valorosi guerrieri, appaiono, per la gioia del pubblico mainstream, anche draghi, tengu (i goblin giapponesi, abitanti delle montagne, ma che qui, stranamente, preferiscono dimorare nei boschi), streghe e un guerriero mezzo sangue di nome Kai (Keanu Reeves) utile solo per far identificare i caucasici con il protagonista (come se nei "giallissimi" film di Kurosawa o Miike sia difficile lasciarsi coinvolgere) e per imbastire una pretesuosa e futile storia d'amore con la principessa Mika (Ko Shibasaki), togliendo lo scettro di protagonista effettivo al leader dei samurai Oishi (Hiroyuki Sanada).


La sceneggiatura di Chris Morgan (autore, tra gli altri, di "immensi capolavori" del cinema americano quali "Wanted- Scegli il tuo Destino" e "Cellurar") fatica a tenere incollati gli eventi storici con quelli fantastici; se nel prologo i personaggi non fanno una piega mentre danno la caccia ad un mostrone demoniaco, più avanti non riescono a credere che tra le concubine (???) del daimyo Asano vi sia una strega; il samurai Oishi non batte ciglio mentre vede il mezzo-sangue lottare contro un gigantesco Orco, salvo poi avere paura di entrare in una foresta che si dice stregata; il tutto mentre al combattimento assistono marinai occidentali, sfuggiti chissà come alla persecuzione. E se lo script ha la decenza di mostrare anche il tragico epilogo, in barba al buonismo americano, si decide comunque di addolcirlo in extremis per dare una nota di speranza raffanzonata ed inutile. Senza contare il fatto che tutta la storia di Kai è pretenziosa e arriva spesso ad oscurare quella che dovrebbe essere la vera storia, ossia quella dei ronin, generando un senso di smarrimento unico. Ed è inutile cercare di appassionarsi alla vicenda, condotta senza guizzi, o affezionarsi ai personaggi, tutti rigorosamente stereotipati: si va dal samurai ciccione simpatico a quello antipatico che si redime all'ultimo, la bella principessa in pericolo, il giovane coraggioso, la strega cattiva priva persino di nome, il villain Kira divenuto un semplice despota in cerca di potere, ringiovanito e impersonato da un Tadanobu Asano al solito sprecatissimo; il tutto condito da una serie di strizzatine d'occhio all'atavico razzismo della cultura medioevale nipponica, come se si fosse ancora negli anni '80, in cui il "pericolo del Sol Levante" minacciava di colonizzare economicamente gli Usa, che rispondevano infarcendo le grosse produzione di riferimenti al vetriolo alla chiusura mentale dei loro "avversari".


Inutile cercare motivi di interesse anche nella regia di Rinsch, esordiente che dirige il tutto con il pilota automatico, tra ralenty d'ordinanza, effetti speciali digitali e scenografie fisiche sacrificate da inquadrature strette; Rinsch non riesce mai a trasmettere davvero il pathos e l'epicità della storia, costruendo il tutto con un montaggio veloce persino durante il cerimoniale del seppoku, il quale, privato di ogni drammaticità e purgato da ogni tipo di violenza grafica, diviene un semplice gesto utile solo a far proseguire la narrazione. Semmai, egli mostra quantomeno una predilezione per la forte fisicità di costumi e sfondi, mai ridotti alla sola CGI; e il barocchismo estetico, per quanto pacchiano, ben avrebbe potuto funzionare in una pellicola di genere degna di tale epiteto. Non aiuta nemmeno la pessima idea di far recitare l'intero cast in inglese: gli attori, visibilmente a disagio con un idioma non loro, declamano le battute senza enfasi, azzerando ogni credibilità della messa in scena.


Punto debole è come sempre la narrazione, che tra lungaggini inutili, sottotrame che divorano la storia principale e false piste pretenziose, si arena nella parte centrale finendo persino per annoiare; anche a causa della scialba love-story, che divora persino l'epilogo; sempre ammesso che lo spettatore pià attento e sensibile riesca a superare il secondo atto, dove i tengu vengono descritti come monaci buddisti (!!!!!!!!) ridefinendo il concetto di cattivo gusto yankee.


Sciatto, piatto e genuinamente stupido, "47 Ronin" è un vero e proprio affronto alla memoria storica, una pellicola priva di epica e di mordente e del tutto incapace di trasmettere anche la più basica forma di intrattenimento; non un film storico, non un'epica rievocazione del passato, non un semplice pop-corn movie, è una specie di "sandalone con katana" in grado di scontentare tutti e far rimpangere persino la tamarragine compiaciuta e naif del primo "300".

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