venerdì 25 luglio 2014

The Elephant Man

di David Lynch

con: Anthony Hopkins, John Hurt, Freddie Jones, Anne Bancroft, John Gielgud, Wendy Hiller, Lesliey Dunlop, Michael Helphick, Hannah Gordon, Phoebe Nicholls.

Biografico/Drammatico

Usa (1980)













Si dice che prima di girare "The Elephant Man", David Lynch si fosse ritirato dal mondo del cinema e lavorasse come carpentiere; il successo del suo esordio "Eraserhead" (1977) gli aveva di certo garantito una certa fama nel circuito dell'underground e tra i cultori del cinema estremo e sperimentale, ma non il plauso di Hollywood, presso il quale non aveva trovato riscontro alcuno; fortuna volle che un certo produttore dell'epoca, più famoso come regista che come capo di uno studio, si fosse interessato a lui per girare una pellicola che, a sua detta, era al di là delle sue capacità; questo produttore era Mel Brooks e il progetto era la biografia di Joseph "John" Merrick, personaggio che a causa della sua deformità divenne celebre nel XIX secolo come "l'uomo elefante".
Brooks, famosissimo per le sue commedie slapstick e demenziali, rimase colpito da "Eraserhead" ed affidò il progetto a Lynch dandogli piena libertà; nacque così uno dei capolavori più celebri del grande regista, nonchè la pellicola che gli permise di sfondare definitivamente ad Hollywood.


Nelle mani di Lych, quella che poteva essere una semplice riflessione sul concetto di diversità o un mero spaccato d'epoca diviene molto di più; "The Elephant Man" è uno dei più lucidi ed efficaci saggi sul concetto di pietà che il Cinema abbia mai conosciuto.
Quella di John Merrick altro non è, di fatto, che una prosecuzione della parabola di "Eraserhead", questa volta narrata da un altro punto di vista: quello del feto deforme e non voluto, ora cresciuto e divenuto uomo. Merrick non è, per Lynch, un mero freak, un diverso tra i diversi, ma un uomo alla disperata ricerca dell'accettazione altrui; e i "normali" non sono criticati in quanto semplici "bestie dal corpo normale", ma anch'essi descritti in modo stratificato e mai stereotipato.
E nella descrizione delle disavventure di Merrick, Lynch ribalta alcuni dei concetti di "Eraserhead", rileggendoli dal punto di vista Merrick e, quindi, in chiave più umanitaria; primo fra tutti è il concetto di paternità/maternità, ora non più incubo mostruoso, ma viatico per un affetto disperatamente cercato, che trova forma nei personaggi del dr.Treves e della madre di Merrick, quest'ultima ideale divinità salvifica che prende il posto della bambina "distruttrice". Anche nella descrizione dei "normali", si diceva, Lynch non si limita ad un manicheismo classico del buono/cattivo, ma riesce a trovare una profondità inedita che va al di là del puro simbolismo.


Il primo tra i "normali" e punto di vista della prima parte del film è il dr.Treves (un Anthony Hopkins ancora giovane e lontano dagli istrionismi che lo renderanno famoso nel decennio successivo): Traves è la parte più umana della scienza, messa al servizio dell'uomo e del suo bene, ma conscia dei suoi stessi errori; anche Traves sfrutta Merrick per i suoi fini, mostrandolo all'accademia in modo non dissimile da quanto fatto dal malvagio Bytes, ma a differenza di questi egli lo considera come un essere umano, non come una res da possedere e percuotere.


Ed è proprio Bytes (un magnifico Freddie Jones) ad incarnare il lato più disumano dell'uomo: un circense privo di scrupoli ed empatia, che riduce Merrick ad animale da palcoscenico e ne sfoggia la deformità come uno spettacolo vivente; così come fa, tra le mura dell'ospedale, lo spietato guardiano notturno (Michael Elphick), altra faccia della cattiveria umana; entrambi hanno un tratto in comune: sono espressione dello strato più basso dello società, ossia del meno acculturato; la mancanza di istruzione diviene sinonimo, con Lynch, di disumanità interiore, che si scontra con la pietà, genuina, che invece viene provata dai dottori e dagli scienziati. Giustapposizione che l'autore tempera in modo intelligente durante la sequenza dell'ospedale, dove gli ospiti di Merrick, tutti appartenenti all'alta società, sono descritti come snob imbelli, che incontrano l' "uomo elefante" solo per profitto.


Il connubio tra cultura e pietà non si riduce ad una mera esaltazione del positivismo scientifico grazie al personaggio di Mrs.Kendal (Anne Bancroft): un'attrice, ossia un'artista, ruolo del tutto antitetico a quello dello scienziato medico; Mrs.Kendal è, di fatto, il personaggio più umano di tutto il film, la prima a vedere Merrick come un uomo dotato di una sua intrinseca bellezza, piuttosto che come un fenomeno da compatire; ed è la sola ad avvicinarsi a lui anche fisicamente, nella splendida scena del bacio, casto e puro, che Lynch antepone e giustappone a quello che il personaggio subisce durante l'umiliazione notturna, impostogli con la forza dagli intolleranti beoni.


Merrick, a sua volta, è al contempo oggetto e soggetto della narrazione; nella prima parte del film egli è un mistero, mostrato solo nell'ombra e in controluce, svelato dopo più di trenta minuti dall'inizio; Merrick è, in questa prima parte, l'archetipo del fenomeno naturale, verso il quale il dr. Treves prova un misto di curiosità scientifica e commozione; ma è dopo l'incontro con il dr.Comm (un John Gielguld al solito magnifico) che Merrick diviene personaggio a tutto tondo e protagonista effettivo della narrazione. L'Uomo Elefante non è un semplice "ultimo" da compatire, ma un personaggio che, pur nella sua miserevolezza, risulta completo: un essere intelligente e raffinato confinato in un corpo mostruoso, un "animo nobile" alla disperata ricerca della normalità; e con le sue movenze goffe e la sua voce bambinesca, John Hurt riesce davvero a smuovere i sentimenti più sinceri dello spettatore.


Quello di Lynch è un ritratto volutamente commovente, che cerca di colpire nel profondo dell'anima del pubblico per raggiungere la commozione più piena e totale; riuscendoci del tutto grazie alla sua maestria stilistica: Lynch non istrioneggia, non ricatta lo spettatore spettacolarizzando il dolore o la deformità, ma si limita a mostrarlo con tutta la sua carica di empatia intrinseca, sapendo sempre quando fermarsi, quando sfumare una scena e quando caricarla con più pathos. Nella ricerca di questo equilibrio idealmente impossibile tra distacco e compassione, il grande autore elabora uno stile unico, che va al di là del surrealismo post-moderno per approdare ad un nuovo classicismo oggettivo; il taglio delle inquadrature e del montaggio è volutamente retrò, come nelle pellicole americane degli anni'50, tanto da sembrare un film dell'epoca piuttosto che una produzione del post-New Wave. Nella messa in scena, Lynch abbandona i suoi incubi e confina le visioni oniriche a tre sequenze chiave: l'incipit, con la nascita di Merrick, la metà del secondo atto, con l'incubo degli abusi, e l'epilogo, con la morte liberatoria. Il risultato è potente ed incredibilmente pudico al contempo, prova inconfutabile dell'enorme talento del suo autore.


EXTRA

Basato sulle memorie del vero dr.Treves e su un saggio scientifico dell'epoca, "The Elephant Men" uscì nelle sale americane mentre a Broadway era in programmazione un dramma teatrale anch'esso basato sulla vita di John Merrick; sia Lynch che i produttori dovettero sottolienare in più occasioni come il loro film non fosse basato sulla versione teatrale.

Il nome di battesimo di Merrick era Joseph, ma per motivi oscuri il dr.Treves si riferisce a lui come "John" nei suoi scritti; nella sceneggiatura, Lynch, Christopher De Vorre e Eric Bergen decisero di lasciare intatto tale riferimento.

Genio indiscusso della commedia americana, Mel Brooks era famoso, all'epoca dell'uscita del film nelle sale, per cult della commedia quali "Frankestein Jr." (1974), "Mezzogiorno e mezzo di fuoco" (1974) e "The Producers" (1967); per evitare che il pubblico scambiasse il film per una parodia, Brooks fece togliere il suo nome dalla locandina e dai titoli di testa, lasciando come unico riferimento l'intestazione della sua casa di produzione, la "Brooksfilm". Nel 1986, Brooks avrebbe prodotto un altro film di cult che avrebbe spalancato le porte di Hollywood ad un altro grandissimo autore: "La Mosca" di David Cronenberg.

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