domenica 10 agosto 2014

Blade Runner

di Ridley Scott

con: Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, Daryl Hannah, William Sanderson, M.Emmet Walsh, Joe Turkel, Joanna Cassidy, James Hong.

Fantascienza/Noir/Cyberpunk

Usa (1982)














---SPOILERS INSIDE---

E' stato scritto che esiste il cinema prima di "Blade Runner" ed il cinema post-"Blade Runner".
Un'esagerazione? Forse, ma allo spettatore più attento non possono di certo sfuggire tutti i rimandi, le citazioni, i debiti contenutistici e sopratutto stilistici che molte pellicole, anche non solo fantascientifiche, devono al capolavoro di Ridley Scott; senza contare le infinite imitazioni che si sono avute in altri media, quali videogiochi e fumetti; tanto che un'affermazione del genere non sembra poi tanto esagerata, ed anzi si può tranquillamente affermare come, di fatto, "Blade Runner" sia una pellicola dal peso imprescindibile, il cui impatto sulla Settima Arte ed in generale sulla cultura moderna è paragonabile ad un solo altro capolavoro assimilabile al genere fantascientifico: "2001: Odissea nello Spazio" (1968).


La storia del film, proprio come quella del precedente "Alien", è talmente complicata e affascinante da poter essere protagonista di una narrazione a sé stante. Tutto comincia con il capolavoro di Philip K.Dick "Do androids dream of electric sheep?", pubblicato nel 1968, nel quale il grande autore immagina un futuro post-apocalittico nel quale un mercenario della polizia dà la caccia, nell'arco di 24 ore, ad un gruppo di androidi giunti dalle colonie spaziali; androidi che Dick tratteggia come creature disumane, prive di empatia verso il prossimo e per questo mostruose.
Il progetto di un adattamento del romanzo per il grande schermo prende vita nei primi anni '70, ma resta in stallo per oltre dieci anni, finchè nel primi anni '80 Scott viene assoldato come regista; la prima bozza della sceneggiatura, ad opera di Hampton Fancher e molto fedele al romanzo, viene fatta riscrivere dall'autore da David Webb Peoples (poi artefice delle sceneggiature de "Gli Spietati" e "L'Esercito delle 12 Scimmie"), ma in fase di produzione se ne discosta lo stesso, reinventando alcune scene o inventando interi passaggi ex-novo, tanto che l' 80% del film finito è praticamente opera del solo Scott.
Nasce così "Blade Runner", una delle pellicole più influenti di sempre, cult amatissimo da generazioni di cinefili e non, ma sopratutto uno dei film più genuinamente belli mai concepiti.


Del romanzo di partenza, Scott abbandona la tematica religiosa per concentrarsi su quella umana ed esistenziale, cambia l'ambientazione da una San Francisco post-nucleare ad una Los Angeles multietnica e post-moderna, ri-caraterriza tutti i personaggi e riprende, in sostanza, solo la struttura di base, con il protagonista Rick Deckard (Harrison Ford) impegnato a dare la caccia agli androidi, ora ribattezati "replicanti", ossia copie virtualmente identiche agli esseri umani.
Nell'opera di Dick, gli androidi erano macchine senzienti in grado di emulare i senstimenti, ma comunque impossibilitate a percepire quelli degli altri; questa mancanza di empatia li rendeva delle personalità inquietanti, spietate e abominevoli, e non per nulla l'autore fu ispirato dai soldati nazisti e dal loro presumibile stato d'animo durante gli eccidi di cui si macchiarono durante la II Guerra Mondiale. Di tutt'altra indole sono invece i replicanti; la loro natura sintetica (persone nate in provetta e dotate di un cervello artificiale) non li rende meno umani, ma anzi "più umano dell'umano"; il replicante è una persona vera e propria, in grado provare sentimenti vivi e viscerali e avvertire anche quelli altrui, ma toalmente incapace di controllarli; in quanto persone artificiali, i replicanti non hanno una vita vera e la sperimentazione dei sentimenti comincia per loro quando il loro corpo e la loro mente sono già giunti ad uno stadio adulto; il contatto con la vita li rende perciò ancora più sensibili e del tutto incapaci di trattenere le loro sensazioni; il che li porta alla follia, evitata per il solo tramite del termine vitale: quattro anni dalla loro attivazione.
Il test del Voight-Kampff usato nel film per ideantificarli, a differenza di quanto accadeva nel romanzo, serve appunto ad appurare la loro incapacità di controllo, piuttosto che la simulazione del sentimento stesso.
Il replicante diviene così, nel film, essere umano vero e proprio, figlio della razza umana ("Mankind made its match") la cui natura artificiale viene rivelata da Scott per il solo tramite (visivo) del riflesso arancione delle pupille.


Il replicante è il nuovo umano, un essere programmato per svolgere determinate funzioni (operaio, soldato, prostituta, ecc...), ma dotato di un sistema emotivo autonomo; il contatto con le sensazioni crea nel replicante una serie di emozioni, sentimenti che un essere già adulto non è in grado di sopportare come un umano qualsiasi; esso diviene così più umano dell'umano, appunto: un essere para-umano dotato di una sensibilità maggiore rispetto all'umano comune. Il ruolo del replicante nella storia è quindi quello di un essere umano che si confronta con i limiti stessi della sua umanità, domandandosi ciò che ogni uomo prima o poi si chiede: da dove vengo? Perchè sento ciò che sento? Quanto ho da vivere?
I replicanti vengono così caratterizzati come dei bambini alla disperata ricerca di risposte; non si può non empatizzare con loro, in particolare con Roy Batty (Rutger Hauer) e Pris (Daryl Hannah), i più evoluti e per questo i più consci dei propri limiti, che in preda alla disperazione arrivano finanche ad esclamare:"Non possiamo sopravvivere, noi siamo stupidi!".


L'unico essere umano in grado di empatizzare con i replicanti, dimostrando una sensibilità inedita rispetto ai suoi simili, è J.F.Sebastian (William Sanderson); schivo, dall'aspetto triste e solitario, Sebastian si innamora da subito della bella Pris, ma sopratutto comprende la brama di vita di Roy a causa di una malattia che lo divora; Sebastian è, si, un personaggio ancillare rispetto alla narrazione, ma comunque essenziale per i suoi temi, rappresentando il lato più misericordioso e sensibile dell'essere umano.


E il successivo incontro di Roy con Tyrell (Joe Turkel) diviene confronto con il padre/dio, la coronazione di un sogno prettamente umano, ossia il confronto con il proprio creatore; Tyrell è una divinità creatrice terrena, che vive arroccata in una ziggurat futuribile e veste come un pontefice; è colui che possiede le risposte che Roy cerca, ma non la soluzione alla sua brama di vita; il confronto con il dio-creatore diviene realizzazione della propria finitezza, dell'impossibilità della vita eterna; confronto catartico, che nella morte del creatore trova un disperato urlo da parte dell'uomo impossibilitato a fuggire dalla morte, a cambiare il proprio destino, ma al contempo incapace di accettare una fine programmata; confronto che si fa esasperazione, tradimento (il bacio) e distruzione totale e disperata, poichè priva il replicante (l'uomo) di ogni speranza per il proprio futuro. E Rutger Hauer buca letteralmente lo schermo con la sua interpretazione più famosa: empatico e mai sopra le righe, il suo Roy Batty è un personaggio inarrestabile, ma al contempo estremamente fragile, in grado di scatenare una commozione pura e totale con il suo ultimo, struggente e ormai famossisimo monologo.


Se il replicante è l'essere artificiale divenuto umano, la "nuova vita" che cerca disperatamente di affermarsi, l'essere umano nel mondo di "Blade Runner" è una forma di vita ormai dimentica della sua stessa identità; gli uomini della Los Angeles del 2019 trascinano stancamente le loro vite senza provare vere emozioni; il protagonista Rick Deckard, non per nulla, viene modellato sui caratteri dei tipici sbirri degli hard-boiled degli anni '40, in particolare sul Philip Marlowe del mitico "Il Grande Sonno": duro, cinico e perennemente distaccato; ma a differenza degli altri poliziotti (in particolare del rozzo capitano Bryant), Rick riscopre a poco a poco la sua umanità nel corso della caccia; dapprima si sconforta per l'uccisione della replicante Zhora (Joanna Cassidy), che definisce non più androide, ma "donna", attestando il superamento della distinzione tra le due specie; e sopratutto innamorandosi della bella Rachel (Sean Young), personaggio che da solo racchiude in sé tutti i temi portanti del film.


Rachel è l'emblema stesso dell'essere umano privato di una sua identità; l'identità dell'uomo, suggerisce Scott, viene forgiata attraverso i ricordi, le esperienze accumulate durante la vita che ritornano come reminiscenze nella mente di ciascuno; il tema del ricordo viene simboleggiato dalle fotografie del replicante Leon (il compianto Brion James) e della stessa Rachel; la fotografia è mezzo artificiale per forgiare ricordi "esterni" all'uomo; allo steso modo, l'occhio è il mezzo organico con il quale l'uomo, sia esso umano o sintetico, "registra" nella propria memoria gli avvenimenti, in modo da poterli rivivere come ricordi, in modo da crearsi una propria identità.
Il tema della vista e il simbolo dell'occhio ritoranno più volte nel corso della pellicola; sin dalla prima sequenze: le spettacolari e tetre immagini della Los Angeles del futuro vengono alternate al dettaglio di un occhio che le riflette e al contempo le assimila, ideale occhio dello spettatore che da questo momento in poi assimilerà gli avvenimenti del film; Roy e Leon cominciano la ricerca di Tyrell al negozio di Chew (James Hong), fabbricante di occhi artificiali; il test del Voight-Kampff analizza un'irregolare fluttuazione della pupilla per scoprire la natura del soggeto cui che vi si sottopone; così come il riflesso arancio è il mezzo visivo con cui lo spettatore riesce ad identificare i replicanti.


Rachel è l'unico replicante ad avere dei ricordi e, per questo, un'identità pienamente definita, che la priva della coscienza del suo essere artificiale; nel momento in cui scopre la artificiosità degli stessi, Rachel perde la propria identità, essendo impossibilitata ad accettare la natura puramente virtuale dei suoi ricordi; Rachel diviene così il simbolo dell'essere umano posto dinanzi ad un interrogativo inquietante: il possedere dei ricordi equivale ad averli vissuti? E sopratutto: un'identità basata su ricordi fasulli è anch'essa falsa?
Scott non risponde a queste domande, si concentra piuttosto sul rapporto del personaggio con Deckard e sul dramma che essi vivono: due creature teoricamente nemiche, poichè l'una umana l'altra artificiale, consci della loro avversità, che cominciano a provare a poco a poco un'attrazione irresistibile, una sublimazione amorosa del rapporto cacciatore-preda che si fa inno alla vita e all'amore più puro; ed Harrison Ford è semplicemente perfetto nel ruolo del cinico cacciatore che riscopre la sua umanità, così come lo è Sean Young, con la sua bellezza elegante e fragile.

 

Ciò che rende "Blade Runner" tutt'oggi sconvolgente è l'estrema cura estetica che Scott riversa nella costruzione del mondo del 2019; la sua visione è post-modernismo allo stato puro: un ibrido perfettamente riuscito di visioni future e reminiscenze classiche; così come nella struttura e nella narrazione il film è una commistione perfettamente riuscita tra fantascienza e noir, allo stesso modo, sul piano estetico, l'auotre riuesce a fondere i due stili creando visioni estremamente affascinanti.
Il mondo di "Blade Runner" divene così il prototipo di tutta la fantascienza cyberpunk a venire; un universo nel quale la tecnologia ha invaso totalmente la società, ha "sovrascritto" il passato crescendo attorno alle memorie antiche per riplasmarle a nuova immagine; così come nei romanzi di Dick, anche in "Blade Runner" il futuro è un incrocio tra vecchio e nuovo, tra identità passata e crisi presente; un ibrido inquietante ed estremamente affascinante.
Il design del grande Syd Mead, qui in veste di direttore artistico, si concretizza in scenografie ciclopiche, che avvolgono i personaggi creando ambienti futuribili a loro volta ibridi di più culture: dalle architetture americane dei primi del '900 ai futuribili neon onnipresenti, con richiami alla cultura giapponese, araba e cinese; la Los Angeles di "Blade Runner" è un vero e proprio crocevia di stili ed influenze, che si rincorrono e si scontrano creando un mondo nuovo, un universo in piena crisi di identità culturale, al pari dei personaggi che lo popolano.


Ogni segmento di scenografia ha un che di vivo: graffi, segni di usura, sporcizia e graffiti insozzano ogni parete, dando una sensazione di tangibilità e di fisicità pura ad ogni ambiente. I costumi dei personaggi umani sono squisitamente retrò: lo spolverino di Deckard altro non è se non una versione fantascientifica dell'impermeabile di Humprey Bogart, gli abiti di Rachel sono i degni eredi della tradizione delle dark lady degli hard boiled, cos' come il capitano Bryant sembra uscito pari pari da un poliziesco degli anni'40. Al contrario, i replicanti sono avvolti in abiti avvenieristici, ispirati al punk londinese, che li caratterizzano come la "nuova umanità", una nuova generazione di uomini che si discosta anche esteticamente dalla vecchia.


Per la fotografia, Scott si avvale del compianto Jordan Cronenweth, che crea immagini semplicemente ammalianti; riprendendo la tradizione estetica del noir classico, ogni immagine viene contrastata, con luci ed ombre che si rincorrono fino ai limiti dell'espressionismo classico; ogni scena è immersa in luci notturne o comunque artificiali, per lo più neon e monocomatiche; il risultato è un'atmosfera cupa, che si avvicina ai limiti dell'horror puro nell'ultimo atto, un vero e proprio noir futuribile con i kinoflow (usati qui per la primissima volta) al posto dei lampioni elettrici e le auto volanti al posto delle cadillac. Visioni che trovano il loro antecedente storico nel lavori degli artisti del "Metal Hurlànt" e che per la prima volta sbarcano al cinema, creando qualcosa di nuovo, mai visto prima su schermo e tutt'oggi mai eguagliate.
Merito sopratutto della regia di Scott, che riesce ad amalgamare tutti gli elementi diversi senza far precipitare l'estetica nell'accumulazione grezza, ma sapendoli amalgamare in un vero e proprio calderone di influenze e stili dal quale fuoriesce un'estetica nuova, a suo modo inedita e che farà scuola. E la mano sicura e talentuosa dell'autore si nota ad ogni nuova visione del film: ogni volta è possibile scoprire un nuovo particolare nelle scene in esterni, uno nuovo simbolo o punto di interesse immerso in mezzo alla folla, prova dell'immenso talento di un autore oggi dimenticato.


Un mondo oscuro, quello di "Blade Runner"; un futuro da incubo, popolato da personaggi cinici e da una tecnologia fuori controllo; eppure, pur sempre un mondo in cui sopravvive la bellezza, sottoforma di emozioni vive e tangibili; siano esse il rispetto per una vita altrui o l'amore per una vita che forse non è nemmeno una vita vera; un mondo tragico, eppure magnifico, dolente e per questo vivo, la cui atmosfera struggente ed affascinante viene magnificamente sottolineata dalla celebre colonna sonora di Vangelis, con le sue noti dolci e nostalgiche; un mondo nel quale, alla fine, esiste ancora del verde, un angolo di mondo nel quale la speranza può vivere, non ha importanza per quanto a lungo, poichè nessuno sa per quanto a lungo davvero si può vivere.



EXTRA

E' ormai arcinoto che esitono varie e differenti versioni del film; la prima, uscita al cinema nel 1982, è chiamata "Theatrical Cut" e presenta la voce off di Deckard che accompagna le immagini; la seconda è la "Director's Cut" del 1991, versione approvata da Ridley Scott nella quale viene eliminata la voce narrante, viene tagliato l'epilogo con la fuga ed aggiunta una sequenza inedita: la visione di un unicorno da parte di Deckard; visione che, combinata con l'origami lasciato da Gaff nelle ultimissime inquadrature, svela la natura artificale del personaggio. 
Nel 2007, in occasione del 25°anniversario del film, è stata poi distribuita una nuova versione, la "Final Cut", che riprende la "Director's Cut" correggendo alcuni errori di continuità che all'epoca non poterono essere eliminati; stando a Scott, la versione "ufficiale" di "Blade Runner" è proprio quest'ultima e, quindi, anche Deckard è un replicante. In tutte le versioni del film, compresa la "Theatrical Cut", è però presente un'inquadratura che svela la natura artificiale del protagonista: poco prima della scena d'amore con Rachel, è possibile notare il riflesso arancio negli occhi di Harrison Ford.


Sulla natura artificiale o umana di Deckard nella versione originale del film, il dibattito è aperto; per molti fans in questa versione è umano, mentre per altri è un replicante; stando alle parole di Scott, Deckard avrebbe dovuto essere un replicante già in questa versione del film; d'altro canto, Harrison Ford sostiene con veemenza la natura umana del suo personaggio.
Fatto sta che proprio la "Theatrical Cut" resta la migliore versione di "Blade Runner": il finale liberatorio (creato montando i primi piani di Harrison Ford e Sean Young alternati alle riprese aree scartate da "Shining" e regalate da Kubrick a Scott, all'epoca suo buon amico) aggiunge una nota poetica ulteriore alla storia; così come la voce narrante del protagonista aumenta l'atmosfera noir; almeno nella versione italiana: sfortunatamente, in quella originale il doppiaggio di Harrison Ford è a dir poco inascoltabile, a causa dei tempi ristretti che all'epoca ebbe per studiare il copione.

La travagliata storia produttiva del film viene ben raccontata in "Dangerous Days", documentario di 3 ore e mezza presente tra gli extra delle versioni DVD e Blu-Ray in commercio a partire dal 2007; il titolo del documentario riprende il titolo di lavorazione dello stesso film.

Sempre nel 1982, Syd Mead creò il look visivo di un altro cult della fantascienza, un piccolo film destinato anch'esso a rivoluzionare l'estetica visiva: "Tron"; proprio come "Blade Runner", acnhe "Tron" fu un fiasco ai botteghini durante la "calda estate del 1982", salvo poi essere riscoperto nel corso degli anni e assurgere a pellicola di culto.



Morto nel 1982, a soli 53 anni, Philip K.Dick divenne uno scrittore di culto e pilastro della narrativa moderna solo a partire dai primi anni '90, quando il grande pubblico riscoprì "Blade Runner". 
Durante le riprese del film, Dick fu più volte intervistato in merito al trattamento riservato al suo romanzo e, senza mezzi termini, accusò Scott e soci di averlo letteralmente stuprato. Poche settimane prima della sua morte, Dick fu invitato ad una proiezione di prova, nella quale veniva mostato un demo del film della durata di circa 45 minuti; il rusultato fu eclatante: il grande autore dovette ricredersi dinanzi al lavoro svolto e, in un'ultima intervista rialsciata poco prima di morire, lodò caldamente l'autore per il lavoro in sede di scrittura e sopratutto per lo sconvolgente aspetto visivo del film.



Tra i "figli" più famosi di "Blade Runner" e in generale della narrativa sci-fi post-moderna di Philip K. Dick vanno citati almeno:

"Neuromante" (Neuromancer) di William Gibson, romanzo pubblicato nel 1984


Primo romanzo di Gibson e capostipite ufficiale del moderno cyberpunk, "Neuromante" riprende da "Do androids dream of electric sheep?" e "Blade Runner" la struttura da romanzo hard-boiled (in questo caso il "caper" o "romanzo di rapine") immersa in un futuro ai limiti del distopico.


"Appleseed" di Shirow Masamune, manga pubblicato a partire dal 1985

Primo successo editoriale di Masamune e prototipo del successivo "Ghost in the Shell", "Appleseed" riprende da "Do androids dream of electric sheep?" l'idea di un mondo post-apocalittico riedificato sottoforma di gigantesce città-stato, mentre da "Blade Runner" riprende il tema dell'umanizzazione delle creature artificiali.


"Ghost in the Shell" (Kokaku Kidotai) di Shirow Masamune, manga pubblicato a partire dal 1989


Ideale antefatto di "Appleseed", "Ghost in the Shell" riprende da "Blade Runner" il tema della disumanizzazione dell'essere umano e della contemporanea umanizzazione delle creture artificiali, in questo caso dei cyborg e delle I.A., oltre che alle riflessioni esistenziali sul concetto di umanità.


"Armitage III" di Hiroiuky Ochi, serie OAV pubblicata nel 1994


Da "Blade Runner" vengono ripresi sia la struttura poliziesca combinata all'ambientazione fantascientifica che la storia d'amore tra un essere umano e un essere sintetico, oltre che all'atmosfera cupa e visionaria.


"Ghost in the Shell" (Kokaku Kidotai) di Mamoru Oshii, film cinematografico del 1995


Adattamento del manga di Shirow Masamune che riprende anche l'estetica cupa e visionaria del film di Scott.


"Deus Ex" di Warren Spector, videogame pubblicato da Eidos Interactive nel 2000


Primo capitolo di una fortunata trilogia videoludica, riprende dalle opere di Dick e Scott l'idea di un futuro post-apocalittico nel quale gli uomini sono potenziati come cyborg e la susseguente crisi d'intentà, oltre che la struttura poliziesca della storia e l'ambientazione perennemente notturna.


"Battlestar Galactica", serie televisiva creata da Ronald D.Moore, andata in onda dal 2003 al 2009


Remake della serie televisiva creata da Glen A.Larson nel 1978, "Battlestar Galactica" riprende da "Blade Runner" i temi esistenzialisti e i dilemmi filosofici, oltre che la caratterizzazione dei replicanti per i Cylon, ibridi uomo-macchina in lotta con gli essere umani; da "Blade Runner" tornano anche l'espressione "Skin-Job" ("lavoro in pelle") per indicare gli ibridi e Edward James Olmos, che interpretava Gaff nella pellicola di Scott, qui nelle vesti del comandante Adama.


"Innocence: Ghost in the Shell 2" (Innosensù) di Momuru Oshii, film cinematografico del 2004


Sequel ancora più simile alla pellicola di Scott nell'estetica, che qui si fa genuinamente post-moderna, e nelle atmosfere più squisitamente noir.

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