sabato 17 gennaio 2015

L'Amore Bugiardo- Gone Girl

Gone Girl

di David Fincher

con: Ben Affleck, Rosemund Pike, Carrie Coon, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Kim Dickens, Patrick Fugit.

Thriller/Drammatico

Usa (2014)














---SPOILERS INSIDE---

Negli anni '90, David Fincher era considerato un autore; e di certo non si può tutt'oggi negare come i suoi film abbiano almeno un tràit d'union: sono sempre, costantemente immersi in atmosfere buie ed opprimenti, volte non tanto e non solo a ricreare le emozioni dei personaggi, quanto ad accentuare le sfumature negative e distruttive delle storie che racconta. Una volta concessogli il titolo, non si può negare come Fincher sia l'autore più altalenante che il mainstream hollywoodiano abbia conosciuto, in grado di esordire con una pellicola non riuscitissima, ma interessante (quell' "Alien 3" che rivisto oggi ci fa capire quanto il sequel di un sequel possa essere valido ed affascinante), continuare la sua carriera con una pellicola non originale, ma tra le più influenti di sempre (il cult, oggi un pò dimenticato, "Se7en"), per poi arenarsi in una serie di prove non riuscite ("Fight Club" e "Panic Room") e ridursi a mestierante a buon mercato; salvo poi tirare la testa fuori dal sacco una tantum e regalare al pubblico qualche pellicola interessante. Era così successo nel 2006 con lo splendido "Zodiac", succede anche quest'anno con "Gone Girl".


Ma è bene precisarlo subito: "Gone Girl" è un film interessante e riuscito solo grazie all'apporto di Gillian Flynn, autrice dello script e, prima ancora, del romanzo alla base; Fincher qui si limita a ricoprire il mero ruolo di traduttore in immagini e il suo lavoro ha la grande pecca di rimanere fin troppo ancorato alle pagine della Flynn, risultando talvolta troppo piatto e poco ispirato. Il polso del regista si avverte, come al solito, nella scelta della fotografia, magnificamente buia e contrastata dell'abituée Jeff Cronenwerth (figlio di Christopher, compianto autore di "Blade Runner"); e sopratutto nella direzione dei due attori principali, Ben Affleck e Rosamund Pike, perfetti da un punto di vista estetico, ma poco espressivi; e se Affleck se la cava con una performance tutto sommato passabile, la Pike riesce a ritrarre perfettamente il personaggio di Amy, lupo travestito da agnello e magnifica dark lady, disvelando un'autenticità che non scade mai nel macchiettistico, nonostante la difficoltà nel restare seri nei panni di un personaggio del genere.


L'intuizione della Flynn, in fin dei conti, si rivela vincente: sviscerare la genuina falsità dell'istituzione matrimoniale odierna mediante un thriller che sovverte, a partire dal secondo atto, tutti i canoni del classico "whodunnit". L'impianto giallo si disvela nel primo atto unicamente al fine di impostare caratteri e background; la vicenda ha il via con la sparizione di Amy e piano piano la Flynn comincia ad intessere la trama dei temi che intende sviscerare, a partire dal primo e più importante: nessun dei personaggi principali è davvero "buono"; il buon marito Nick si scopre fedigrafo e violento, imbelle ed insensibile; nei flashback, volutamente zuccherosi ed idilliaci, assistiamo allo sbocciare della relazione tra i due "perfetti innamorati" e alla sua graduale decomposizione. Il rapporto con i genitori di Amy, scrittori ossessionati dalla perfezione, diventa humus ideale per la successiva caratterizzazione del personaggio e al contempo critica a quella istituzione familiare titpicamente americana che riversa nei propri figli sogni e speranze infrante per poi trasformarle in cibo per il pubblico.
Nel frattempo, il circo mediatico prende a muoversi, e qui la Flynn affonda il dito nella piaga più purulenta: la mercificazione mediatica del dramma, e lo fa con una furia quasi religiosa; l'empietà dei network televisivi, in particolare del celebre Fox News e i suoi sensazionalistici serivizi di prima serata, prendono le forme dei talk show dei personaggi di Ellen Abbott e Sharon Schieber; in particolare, è la prima a rivestire il ruolo di perfetta maschera del malcostume giornalistico: visibilmente stupida, dalle sembianze idiotiche, punta il dito contro un innocente sin dal primo momento e si prodiga in veri e propri insulti contro chi ritiene responsabile, ipotizzando persino una sua relazione incestuosa con la sorella gemella; il marito, inizialmente neanche sospettato, diviene vittima da dare in pasto al pubblico, oggetto da vendere nell'ambito di una storia scandalistica creata ad hoc che ha necessariamente bisogno di un "boogeyman" per funzionare. Ma la Flynn va oltre ed affonda ulteriormente la sua critica: la battaglia per l'innocenza e la salvezza viene di fatto combattuta nell'arena mediatica piuttosto che tra le piage del procedural vero e proprio, con Nick che decide di andare in televisione come strategia difensiva e il cui discorso finto-accorato riporta l'opinione pubblica dalla sua parte grazie a falsi sorrisi e frasi tristi creati a tavolino.


La deflagrazione amorosa diviene così pre-testo per sovvertire le regole basiche del thriller; perchè se Nick è sicuramente il perfetto americano-medio (e in questo senso la scelta di Ben Affleck, con il suo volto bovino ma affascinante risulta azzeccata), Amy è al contempo vittima e carnefice, deus ex machina dell'intera vicenda che si rivela non nel finale, come avveniva nel capolavoro di Clouzot "I Diabolici" (1955), ma già a partire dal secondo atto, in un ribaltamento totale del registro. Amy passa dall'essere la perfetta ragazza oggetto-vittima designata ad una schietta manipolatrice in grado di sgretolare l'identità del partner mediante il sesso e l'adulazione; una "femme fatale" totale che incarna tutte le virtù malefiche della donna (e assieme alle due giornaliste forma un trio di figure malefiche che, se concepito da un autore maschio, avrebbe fatto gridare alla misoginia per anni). Una manipolatrice al contempo cosciente del ruolo che deve ricoprire di volta in volta: moglie fedele e carnale, vittima in grado di arrivare persino al suicidio pur di vendicarsi, donna ordinaria in fuga, fanciulla da salvare e, in ultimo, perfetta fidanzatina d'America dinanzi a quei media che l'avevano osannata.


E proprio nel climax, prima del terzo atto, il più freddo e agghiacciante, che Amy si toglie definitivamente la sua ultima maschera e rivela la sua feroce natura di assassina. Nell'ultima parte ricostruisce la propria identità su quella che i media le avevano forgiato: la donna perfetta, la povera vittima e moglie ideale, che poco prima della conclusione sottomette definitivamente Nick, affermando come il matrimonio altro non sia se non un gioco delle parti imbastito sulla base del compromesso; e lo stesso Nick rivela la sua natura fragile: si allontana dalla gemella Margo (Carrie Coon), la sua "voce della ragione", e si ricongiunge all'odiata moglie perchè impossibilitato fisiologicamente ad allontanarvisi,in un trionfo del "male" totale e definitivo, dove questo non è costituito tanto dalla patologia di Amy, quanto l'ipocrisia insita nella cultura della pura apparenza.
Vien naturale chiedersi: cosa sarebbe potuto essere questo film sulla discrasia tra apparenza e sostanza e sulla forza manipolativa dei media se a dirigerlo non fosse stato uno stanco David Fincher, quanto Brian De Palma, il supremo cantore della forza manipolativa e deviante dell'immagine; un capolavoro, probabilmente; tuttavia, anche in questa sua forma spuria, più letteraria che cinematografica, "Gone Girl" resta un'opera sorprendente ed intrigante.

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