venerdì 14 ottobre 2016

Halloween- The Beginning

Halloween

di Rob Zombie.

con: Tyler Mane, Scout Taylor-Compton, Malcolm McDowell, Sheri Moon Zombie, Daeg Faerch, William Forsythe, Danielle Harris, Brad Dourif.

Horror/Thriller

Usa 2007














Buffa sorte quella toccata alle icone della New Wave del horror americano; nate come strumenti per terrorizzare i benpensanti, inondando con fiumi di violenza grafica un genere stantio, si sono ritrovate, nel giro di pochi anni, ad essere non solo icone pop, ma anche perfetti marchi da rivendere al pubblico.
In questo senso, appare del tutto normale come a partire dai primi anni '00, ogni singolo film di quel periodo sia stato rifatto, in remake che si allontanavano totalmente dallo spirito dell'originale. Dopotutto, le condizioni sociali ed artistiche che avevano portato alla creazione di classici come "L'Ultima Casa a Sinistra" (1972), "The Texas Chainsaw Massacre" (1974) o "Nightmare- Dal Profondo della Notte" (1984) erano profondamente mutate nel corso dei decenni e non si poteva, di conseguenza, pretendere che pellicole nate con il solo scopo di capitalizzare sul nome di un successo passato fossero al pari dell'originale.




Se la Platinum Dunes di Michael Bay aveva già ricreato Leatherface nel 2003, con buoni esiti di pubblico ed in parte anche di critica, era solo una questione di tempo prima che anche l'imprescindibile "Halloween- La Notte delle Streghe" (1978) fosse sottoposto ad un restyling che lo privasse dell'anima. Dopotutto, già nel 2000 la serie era giunta ad un punto morto, con un settimo capitolo a dir poco disastroso, dopo che anni di sequel stanchi, storyline piatte e persino dopo che lo stesso John Carpenter aveva fallito nel tentativo di ridare linfa vitale alla saga con "Halloween III- Il Signore della Notte" (1982), con il quale si sarebbe dovuta trasformare in un'antologia dell'orrore. Resettare il tutto era la scelta più azzeccata dal punto di vista dei produttori e Malik Akkadd, subentrato al padre Moustapha che aveva finanziato l'exploit di Carpenter negli anni '70, decise di fare le cose in grande, affidando il progetto a Rob Zombie, autore che, a discapito dell'odio viscerale che la critica statunitense riversava sui suoi film, si era fatto un buon nome nel settore.
D'altro canto, la rielaborazione di modelli classici è tutt'ora alla base dello stile di Zombie; anche se, forse, il modello stra-abusato dello slasher era davvero troppo lontano dalle sue corde, così come la mitologia carpenteriana fatta di forze maligne incontrollabili e mitologia celtica. Zombie ha però carta bianca: ricrea da zero il mito di Michael Myers, rendendolo più terreno, vicino al suo mondo sudicio fatto di relitti umani sboccati e scorretti. E finché si limita a ricreare, il film funziona.




Tutta la prima metà può essere ribattezzata "Rob Zombie's Halloween" ed è un un suo film a tutti gli effetti. Ritorna il white trash, i personaggi lerci e sboccati, immersi ora nella quotidianità della suburbia americana. La famiglia Myers diviene il perfetto coacervo di tutti gli orrori familiari possibili ed immaginabili: un patrigno idiota e violento che vorrebbe allungare le mani sulla figliastra, una madre premurosa ma ridotta ai minimi termini, un'ambiente sporco, intriso nel cattivo gusto, in cui il "fuck" è un intercalare d'obbligo. E poi c'è Michael, al quale il piccolo Daeg Faerch dona uno sguardo finemente inquietante. Michael viene ripensato da zero: non più l'incarnazione del Male sceso in terra, ma un comune ragazzino logorato dall'ambiente in cui vive, il cui comportamento rispecchia quello di un ideale prototipo di devianza: la violenza è parte integrante della sua vita, forma di escapismo dallo squallore quotidiano; lo vediamo per prima cosa uccidere senza ritegno dei cuccioli, per poi avventarsi contro i bulli che lo perseguitano. La caratterizzazione diviene terrena, realistica, attenta a creare una parabola disgregativa verso la sua psiche, che cederà un pò alla volta verso la devianza totale.
L'omicidio della sorella Judith, centro nodale di tutta la vicenda, diviene ancora più sinistro, quasi una forma di reazione alla noia nel quale affoga; non è un sacrificio rituale, né una punizione per il libertinaggio (Michael non assiste agli amplessi con il ragazzo), ma pura estrinsecazione del male che lo divora.




La parte centrale, il ricovero di Michael presso l'ospedale psichiatrico, è poco più di un ponte verso la seconda metà del film, ma presenta lo stesso soluzioni interessanti. Il Dr. Loomis fa la sua comparsa e sveste i panni del lunatico uomo di scienza che ha ceduto dinanzi all'assoluto per raccogliere quelli più terreni di un medico incapace di scrutare la mente del suo paziente. Il volto di Malcolm McDowell è perfetto per il ruolo: un ex hippie, totalmente convinto che la medicina psichiatrica possa essere la chiave per scandagliare ogni parte dell'esistenza, fronteggia un fallimento, una caduta dinanzi alla più terrena delle infermità.
Vediamo per la prima volta Michael consumarsi, chiudersi nel mutismo della ragione, costruirsi nuovi volti per tenere alla larga lo sguardo indagatore di Loomis dal suo subconscio, fino alla crisi finale: la morte della madre (Sheri Moon Zombie, che dimostra doti drammatiche incredibili), l'unico punto di riferimento nel mondo, distrugge ogni appiglio verso la sanità e lo reclude definitivamente alla mercé del suo Io più distruttivo.






Ed è qui che la visione di Zombie si esaurisce, si arresta sul terreno del nuovo per retrocedere a quello del già visto. Il "Rob Zombie's Halloween" cambia pelle e diviene il più classico e trito remake dell'originale. Tornano tutti i punti dello script di Carpenter e Debra Hill, condensati in appena 50 minuti di pellicola, rendendo impossibile per qualsiasi spettatore affezionarsi davvero a personaggi ed eventi.
Torna Laurie Strode, che ha ora il volta da bambina di Scout Taylor-Compton, così come l'improbabile storyline di una sua parentela con l'assassino, ripresa da "Halloween II- Il Signore della Morte" (1981). Torna la sua amica Annie, che ha il volto di quella Danielle Harris che da bambina fu la vittima dei vari ritorni e maledizioni di Michael Myers. Torna lo sceriffo Brackett, che ha ora il volto del veterano Brad Dourif, in scena per una manciata minuti ed in coppia nuovamente con Loomis, il cui ruolo di Van Helsing di provincia questa volta con convince più di tanto. Torna la maschera di William Shatner, resa più sporca e polverosa. Tornano persino le location californiane a fare da "body double" per l'Illinois, le stesse del 1978. Ma questi ritorni non sono che ombre, quasi semplici easter-egg che tolgono ogni profondità alla narrazione.
Lo schematismo dello slasher più puro calza stretto a Zombie, il quale non sa come muoversi al suo interno. Deve percorrere un sentiero pre-tracciato dal quale non può virare: la "notte delle babysitter" deve fare il suo corso, deve aversi la medesima successione nelle morti, deve aversi il medesimo confronto finale tra la final girl ed il mostro. Ogni variazione è minima, ogni volo pindarico, rielaborazione o variazione bandita.
E come in una sorta di crisi di ispirazione, Zombie, forse nel tentativo di dare una forma di personalità ad un prodotto industriale, fa parlare anche i personaggi della classe media come degli zotici sboccati: Laurie confessa scherzosamente alla madre le attenzioni erotiche di un professore e con le amiche si diverte a riempire di insulti lo stalker Michael, ammazzando la sospensione dell'incredulità.







Il remake fa il suo corso; le variazioni sono minime: il Dr. Loomis trova una morte temporanea in una sequenza a dir poco ridicola, Laurie viene inseguita forsennatamente dal babau per poi essere lei ad infliggergli il colpo fatale. Il Michael di Tyler Mane, a discapito dell'ingombrante presenza fisica, esegue il cerimoniale delle morti in modo ordinario, privo di originalità nell'esecuzione delle uccisioni, un pò in ossequio allo spirito realista del film, un pò in omaggio a quanto visto in passato. E Zombie non controlla la narrazione, né l'estetica: l'uso della camera a mano e del montaggio veloce non paga; questa volta le gesta del killer non sono inscenate negli assolati deserti del Texas, ma nei bui anfratti di una villa in decadenza; l'effetto è straniante: sembra di assistere ad un action di Michael Bay immerso in un contesto horror, tanto è la goffaggine grammaticale.






E alla fine, questo remake di "Halloween" finisce per fare il suo sporco lavoro: rivendere il marchio al pubblico per il tramite di un film che è l'ombra del suo originale; pallido, esangue, privo di mordente, si caratterizza per il solo tramite di quei primi 50 minuti davvero sorprendenti. Per il resto è pura routine, nonché l'esito peggiore nella carriera di Rob Zombie.

1 commento:

  1. Concordo specialmente sul finale, è il film più deludente di Rob Zombie, seppur decente non mi ha lasciato molto, ed essere mediocri è molto peggio che essere pessimi...

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