sabato 8 ottobre 2016

La Casa del Diavolo

The Devil's Rejects

di Rob Zombie.

con: Sid Haig, Bill Moseley, Sheri Moon Zombie, William Forsythe, Ken Foree, Leslie Easterbrook, Matthew McGrory, Michael Berryman, Danny Trejo.

Usa, Germania 2005


















Il successo de "La Casa dei 1000 Corpi" (2003) ripagò in pieno l'esiguo investimento della Lionsgate. Rob Zombie, al suo primo film, ottenne un buon riscontro di cassetta e riuscì ad assicurarsi il beneplacito di uno studio che, pur lontano dai fasti odierni, ben poteva giovare alla sua carriera. Tanto che il suo secondo film "The Devil's Rejects", arriva ad appena due anni dal suo esordio, in quell'estate del 2005 aridissima per il genere orrorifico.
Secondo lungometraggio che riprende i personaggi di quel buon esordio, la folle famiglia Firefly, per espandere il discorso para-nostalgico del cinema dell'orrore che fu verso territori nuovi, inediti. Laddove ne "La Casa dei 1000 Corpi" i punti di riferimento erano totalmente interni al "genere" orrorifico, in "The Devil's Rejects" Zombie si rifà ad un altro "genere" prettamente americano, il western, in particolare a quello di un autore che sulla carta non aveva nulla della sua poetica: Sam Packinpah. Il risultato è il suo film più originale, pur nei limiti della sua operazione di assimilazione di fonti esterne, nonchè, ad oggi, il più riuscito.






Ma prima di virare verso il western, "The Devil's Reject" parte proprio dal medesimo spunto del suo predecessore, il capolavoro di Tobe Hooper "The Texas Chainsaw Massacre" (1974), in particolare il suo stralunato (ed oggi fin troppo apprezzato) sequel del 1986; da qui viene ripresa l'idea di partenza, quella di uno sceriffo matto che da la caccia alla famiglia di killer; lo sceriffo Wydell (Forsythe) e la sua vendetta per l'uccisione del fratello (interpretato da Tom Towels, che qui torna nelle vesti di una visione) rappresentano l'incipit nonché l'unico vero punto di collegamento tra il film e il cinema horror tout court.
Tolta la premessa, è già dalla prima scena che l'attenzione di Zombie si sposta nei territori del western crepuscolare; prologo ed epilogo sono riproposizioni virate all'eccesso dei due capolavori di Peckinpah: l'assalto alla casa dei banditi con cui si apriva l'elegiaco "Pat Garrett & Billy the Kid" (1973), nonchè il massacro finale degli eroi de "Il Mucchio Selvaggio" (1969). Tutto quello che c'è in mezzo è pura sperimentazione, scompaginazione volontaria di ogni schematismo immerso in un'atmosfera ancora più sporca e lurida.




Il "white trash" di "The Devil's Rejects" non è dato dalla sola ambientazione e dai personaggi, ma sopratutto dalla fotografia. Al bando i movimenti di macchina fluidi (presenti in appena qualche raccordo) e la composizione geometrica dell'inquadratura, tutto il film è girato quasi esclusivamente con camera a mano e costruito con un montaggio spezzato, a tratti schizofrenico; mentre la fotografia si sgrana e si riempe di colori slavati, come quelli di una vecchia pellicola da due soldi invecchiata male. Due anni prima del tarantiniano "Grindhouse" (2007), Zombie riprende il look dei vecchi horror da drive-in, ma anzicchè ricrearne artificiosamente la patina a fini nostalgico-omaggistici, lo trasforma in strumento per rendere la visione più lurida, per aumentare lo squallore dell'atmosfera decadente, trasformando gli esterni texani in un vero e proprio immondezzaio a cielo aperto nel quale far muovere i suoi folli personaggi.






Personaggi che divengono ancora più malati e disturbanti. Lasciatosi alle spalle le leggende urbane del Dr.Satana e i riti satanici crawleyani del suo esordio, Zombie riplasma le sue icone in assassini psicopatici senza redenzione alcuna. L'intera sequenza centrale, con il sequestro del gruppo country, è una vera e propria antologia di bassezze e cattiverie spicciole in grado di disturbare in modo genuino anche lo spettatore meno sensibile. Il tutto lasciando lo splatter confinato in pochissimi fotogrammi: a far da padrone è qui la cattiveria più basica e terrena.






Ma dopo un'ora passata ad intessere questa cattiveria pura e manichea, Zombie decide di cambiare registro ed invertire i ruoli. Lo sceriffo Wydell passa idealmente dall'altro lato della barricata trasformandosi in un vigilante violento e pazzo come gli assassini che persegue. Mentre i Firefly vengono elevati ad icona sacra; non si tratta di idealizzare il male, né di cercare un che di buono in pugno di personaggi lerci, quanto quello di creare un'epica con al centro un gruppo di cattivi, di perfette maschere del cinema horror, al fine di cantarne la distruzione.
Il massacro finale, l'omaggio al Peckinpah più disperato e pessimista, è elogio funebre per un modo di intendere il cinema del terrore scomparso, una veglia funerea per un mondo distrutto da una modernità blanda e priva di ispirazione. Un'uscita di scena esplosiva al pari di quella del modello di riferimento, in grado di smuovere ad una forma di commozione intellettuale inusitata.






"The Devil's Rejects" in fondo è questo: un omaggio viscerale e pulsante ad un genere che il tempo ha distrutto, che la poca fantasia e la mancanza di ispirazione hanno seppellito sotto la mediocrità. Un omaggio lontano dalle derive più facili, più inutilmente nostalgiche, che colpisce gli spettatori in faccia in modo duro e diretto al pari di quanto facevano quelle pellicole che tanto rimpiange. Un omaggio di una compattezza stilistica inusitata, totalmente libero nella forma, scevro da ogni facile moralizzazione e mai compiaciuto. In un certo senso, un vero esempio da seguire.

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