lunedì 19 giugno 2017

Non drammatiziamo... è solo questione di corna!

Domicile Conjugal

di François Truffaut.

con: Jean-Pierr Léud, Claude Jade, Hiroko Berghauer, Barbara Laage, Danièle Girard, Daniel Ceccaldi, Claire Duhamel, Silvana Blasi.

Commedia

Francia, Italia 1970














La vita matrimoniale, si sa, può essere ricettacolo di piccoli/grandi orrori, quali incomprensioni, compromessi, soprusi, rinunce e via dicendo; non è un caso se esiste un detto quale "il matrimonio è la tomba dell'amore".
E' improbabile che Truffaut abbia mai sentito dire una tale espressione, eppure "Domicile Conjugal" sembra esemplificarne il contenuto in modo perfetto (il titolo italiano rientra in quel nugolo di traduzioni improbabili appioppate a capolavori del cinema francese, tra i quali "Frank Costello Faccia d'Angelo è campione indiscusso, ma anche "Non drammatizziamo eccetera eccetera" potrebbe vincere, non fosse altro per lo spoiler che contiene).




Quarto capitolo delle avventure del "quasi alter ego" Antoione Doinel, prodotto subito dopo l'ottima accoglienza de "Il Ragazzo Selvaggio", "Domicile Conjugal" è uno spaccato della vita matrimoniale del protagonista assieme a Christine (Claude Jade, bellissima ed all'epoca compagna dell'autore), ora non più ninfetta sfuggente ma mogliettina perfettamente calata nel ruolo.
Antoine, dal canto suo, smette i panni del tuttofare; lo ritroviamo dapprima indaffarato come fioraio, poi impiegato in una ditta americana come "collaudatore" di modellini.




Il tocco di Truffaut è al solito leggero e brioso; si diverte a costruire e sezionare il menage con piccoli gesti e personaggi; l'amore per i libri e l'aspirazione da romanziere di Antoine ne sancisce la statura di  aspirante bohéme, un giovane uomo che non si conforma a quella piccola borghesia alla quale la moglie appartiene e vuole restare legata (da qui anche la scena della lettera al senatore). E la vita familiare sembra andare stretta ad entrambi. Se Christine si limita a fantasticare su di un ballerino russo, la cui foto appare sopra il talamo nuziale a posare uno sguardo minaccioso sulla coppia, Antoine d'altro canto si lascia sedurre dalla bella Kyoko (Hiroko Berghauer), con la quale avvia una relazione clandestina che subito viene scoperta.




D'altro canto il matrimonio è una delle istituzioni borghesi per antonomasia. Antoine, scavezzacollo sin da bambino, figlio di nessuno e che non sembra voler andare da nessuna parte, non può che rifuggire da questa forma di conformismo che la società impone come passaggio obbligatorio nella vita di coppia. Quella borghesia tanto disprezzata da Truffaut, vuota nelle emozioni così come nelle idee, si affaccia nella vita di Antoine con le forme dei genitori di Christine, bonari parenti i quali esemplificano perfettamente una coppia ben assortita, ma la cui vita sembra piatta e monocorde.
La vita coniugale di Antoine e Christine, che esponenti della boghesia non sono e che quindi non possono permettersi un villino appartato come quello dei di lei genitori, viene così descritta come un vero e proprio microcosmo popolato di personaggi curiosi che ben presto si fa stretta. I vicini di casa di origine italiana, doppi più anziani dei Doinel, che mal si sopportano; il barista sotto casa, logorroico; lo strano vicino silenzioso, creduto da tutti un folle, che poi si scoprirà apprezzato artista di varietà. Ed ovviamente il pargolo Alfonse, frutto dell'amore che non riesce a tenere unita la famiglia.




E' nella noia dei discorsi vacui, delle cene all'omogeneizzato o con i genitori, nelle serate davanti alla televisione o leggendo spassionatamente libri mentre si sta a letto che si annida il seme della "crisi", dovuta alla mancanza di passione. Truffaut sembra non voler decostruire la vita di coppia in sé, per una volta, quanto appunto quella vita coniugale che tanto sembra calzargli stretta. Da qui il tradimento con un'altra donna, esotica sin nei lineamenti, antitesi totale di quella moglie che pur inseguita con fervore nel capitolo precedente, ora è oggetto quasi freddo (le voglie di Antoine vengono spesso frustrate).
Ma l'inizio di una nuova relazione porta con sé una necessaria stabilità; la convivenza porta a quei riti mal digeriti (le cene, sempre uguali) che ora si sommano alla incolmabile differenza culturale (la naturale sottomissione della donna orientale, contrapposta alla vivacità di Christine, la scomodità del tavolo da pranzo, della rigida ritualità propria della cultura nipponica, quasi un emblema dell'ingessatura derivante dall'istituzione matrimoniale); da qui il riaccendersi della fiamma sopita che porta alla riconciliazione.
Ma nell'epilogo Truffaut scaglia uno sberleffo gustosissimo: i Doinel sono diventati come i loro vicini, vivono una relazione meccanica, dove forse non c'è vero amore, solo sopportazione.




E naturalmente, crisi e tradimento vengono descritti in modo vivace, brioso, senza mai cercare il dramma o lo scandalo. Qui sta come al solito la grandezza di Trufaut,: riuscire ad essere credibile e profondo usando il registro lieve della commedia brillante. La costruzione della narrazione è basata su piccoli passaggi, gli "sketch" che qui si fanno ancora più gustosi e dai quali trasuda la sua passione e l'ossessione per la figura femminile; le gambe delle donne sono protagoniste assolute di intere inquadrature, così come nei dialoghi tornano gli apprezzamenti per quella figura femminile mai così affascinante (Antoine chiama per nome i seni di Christine).





Fino al punto di creare un mix gustosissimo tra cattiveria e passione; Truffaut trova sempre il giusto equilibrio e finisce per creare una delle sue commedie più riuscite ed incisive, un affondo al conformismo che ha la leggerezza di un sorriso e la forza di una coltellata.

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