venerdì 24 novembre 2017

Re Lear

King Lear

di Jean-Luc Godard.

con: Peter Sellars, Jean-Luc Godard, Leos Carax, Julie Delpy, Freddie Bauche, Molly Ringwald, Burgess Meredith, Woody Allen.

Usa 1987
















Un caso a dir poco singolare, quello del "Re Lear" di Godard. Nato dall'incontro con Menahlem Golan e Yoram Globus nel 1985, questo strano oggetto filmico doveva inizialmente essere un adattamento decostruttivo e postmodernista del dramma di Shakespeare, tanto che viene coinvolto nel progetto niente meno che Norman Mailer come sceneggiatore. Ma dopo un solo giorno di riprese, Godard lo licenzia e sovverte tutto il progetto, facendolo a pezzi, obliandone storia e personaggi, risucchiando il tutto in un maestorm di riflessioni e pensieri liberi sull'arte visiva, la decadenza dell'Occidente nell'era dell'edonismo, la perdita della cultura e l'ossessione grammaticale.
Presentato a Cannes, il film riceve un'accoglienza a dir poco disastrosa. I due produttori prenderanno immediatamente le distanze dal prodotto finito, che non trova strada, in molti paesi, nemmeno per l'uscita in sala (qui in Italia è tutt'oggi reperibile unicamente in Home Video).
Astio del tutto giustificato: "Re Lear" è una riflessione arida e chiusa in sè stessa, dove Godard si lascia soggiogare dalle sue ossessioni e pulsioni, senza riuscire a comunicare nulla di nuovo o fecondo.




Del dramma omonimo non resta quasi nulla; Burgess Meredith interpreta una sorta di gangster chiamato Lear e Molly Ringwald la sua giovane figlia Cordelia. Ma la loro storia, il loro rapporto e la rilettura di Shakespeare restano relegati sullo sfondo. Così come sullo sfondo di tutto resta le ricerca, picaresca e strampalata, dello pseudo protagonista interpretato da Peter Sellars, William Shakespeare Jr. V, discendente del Bardo che in un mondo post-apocalittico, dove la tragedia di Chernobyl ha spazzato via la cultura, deve ritrovare, per conto della "divisione culturale della Cannon", le opere del suo avo.
Punto centrale è la figura del Professore, interpretato dallo stesso Godard, attorniato dai suoi folletti, tra i quali compaiono due giovanissimi July Delpy e Leòs Carax; filosofo esistenzialista a pezzi, sociologo distrutto, glottologo rottamato, perso in elucubrazioni sull'Arte e sull'immagine.
Mentre in sala montaggio, Woody Allen interpreta Alien (personaggio di "Come vi Piace"), montatore che cuce pezzi di film.




Il caos intellettivo-sensoriale di "Prènom Carmen" non ha più briglie o confini. La cultura è morta, bruciata nelle fiamme dell'olocausto nucleare fasullo, pura possibilità astratta che ha comunque cancellato il Sapere. Restano solo macerie dell'opera di Shakespeare, frammenti recitati meccanicamente, frasi decontestualizzate mischiate a dialoghi di altre opere, titoli di romanzi ("Così è se vi pare" di Pirandello scambiato per una commedia del Bardo) o a reminiscenze di autori ed arte, con i volti di Pasolini e Visconti ed il Saturno del Goya ad apparire tra un fotogramma ed un altro.




L'autore è un folle, un intellettuale divenuto sorta di ibrido uomo-macchina, ossia distrutto da una tecnologia aliena rispetto all'arte. E quest'ultima è concetto totalmente astratto: ancora più che in passato, non esiste certezza alcuna nella messa in scena, nè nella scrittura; il nome è nuovamente prigione che castra il significato; da qui la metafora del fuoco: l'idea è come una fiamma, nasce da un impulso al contempo creativo e distruttivo, vive solo per  poi svanire e non può essere davvero contenuta.
Le immagini e le parole, di conseguenza, perdono significato, sono sterili, frammenti e macerie di qualcosa che non è più e forse mai è stato. Possono esistere solo in tale (pseudo)forma, trovare significato solo come proiettili vaganti, stelle filanti che bruciano per pochi secondi in una scatola (sala) per poi lasciar spazio solo al buio.




Ma la riflessione è fredda, troppo compiaciuta nella sua totale disconnessione logica, nel suo arroccarsi in una forma filmico-narrativa volutamente astrusa, talmente astratta da divenire eterea, futile. Di sicuro è questo l'ennesimo punto d'arrivo per Godard: l'astrazione suprema.
Ma un'astrazione che non riesce a far riflettere chi osserva resta pur sempre un fallimento. "Re Lear" è un'opera volutamente criptica e scostante, oltre i limiti del pretenzioso, dove Godard perde di vista tutto e tutti per rifugiarsi in sè stesso, lontano anni luce dalla capacità comunicativa e dall'originalità del passato.

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