venerdì 8 dicembre 2017

La Camera Verde

La Chambre Verte

di François Truffaut.

con: François Truffaut, Nathalie Baye, Jean Dastè, Patrick Malèon, Antoin Vitez, Jeanne Lobre, Serge Russeau, Annie Miller.

Drammatico

Francia 1978















"Io sono contro l'oblio, che è una frivolezza enorme, la frivolezza dell'attualità è una cosa che non sopporto.. La forza del ricordo, della fedeltà e delle idee fisse è più potente. Io rifiuto di dimenticare".
Così Truffaut commentava la creazione de "La Camera Verde", adattamento molto libero di tre racconti di Henry James che il grande regista piega alle sue esigenze narrative ed alla sua visione.
Una visione mai così plumbea sulla vita, segno di una maturità non tanto intellettiva (già ampiamente raggiunta in passato), quanto umana toccata da Truffaut in quegli anni. Maturità che lo porta a confrontarsi con il tema del lutto e, in generale, con quello della morte, che lo coglierà anzitempo appena sei anni dopo l'uscita del film.
Un rapporto complesso, ma al contempo semplice: laddove Truffaut afferma direttamente di non riuscire a distaccarsi dalla persona amata, le ragioni per questo attaccamento "oltremondano" affondano le radici in un malessere sentito, profondo, tipicamente pessimista ed ai limiti del solipsismo.



Un'opera sul ricordo dei morti, mezzo per mantenerli in vita; come Foscolo, Truffaut canta dei sepolcri, della corrispondenza di amorosi sensi, ma in modo più radicale: senza ricordo, chi è morto scompare; visione atea che fa dell'amore, inteso come legame indissolubile tra individui, il collegamento sempiterno tra persone; il ricordo, di conseguenza, è lo strumento per tenere vivo tale collegamento; in assenza di questo, il defunto scompare del tutto, come se esistesse unicamente nella mente di chi lo ha conosciuto.




Da qui la creazione della "camera verde", dapprima una stanza arredata per tenere viva l'immagine della moglie defunta, poi il tabernacolo dedicato a tutti coloro si sono alternati nella vita di Julienne, alter ego dell'autore.
Ossessione per le persone amate che non viene mai condannata; persino nel tragico finale c'è una forma di empatia verso il complesso di Julienne, verso l'attaccamento morboso ai defunti e in generale all'idea della morte (le immagini dei morti in guerra, ricordo dei compagni deceduti durante la I Guerra Mondiale). Non c'è una contraddizione vera verso la sua posizione da parte degli altri personaggi, solo una forma di astio dovuta alla loro incapacità di comprendere. La riflessione, di conseguenza, è volutamente monocorde, il che rende il film "a tesi" senza però che sia possibile supportare in modo oggettivo le posizioni che prende.




Il che non è un difetto: a Truffaut interessa dare una propria visione delle cose, da "auteur" quale è, non di certo far cambiare l'opinione di chi osserva, unicamente illustrare ciò in cui crede.
Da qui anche l'esiguità della trama, totalmente al servizio del pensiero portante, che diviene vera narrazione; il resto, dal rapporto con il personaggio di Cecilia al mistero su quello con Masigny, è quasi un pretesto per la messa in scena.
Nel ritrarre il suo soliloquio, Truffaut stringe ancora di più rispetto al passato il suo sguardo sui personaggi, con inquadrature sempre strette ed ambientazioni per la maggior parte in interni; la fotografia tinge con un alone verdastro ogni immagine, a sottolineare come ogni fotogramma, al pari di ogni traccia narrativa, sia subordinato all'importanza del ricordo.




Il che rende "La Camera Verde" un'opera semplice, diretta ma non ricattatoria, nè pretenziosa; la semplicità del cinema del grande artista francese pulsa ancora sotto lo strato di tristezza introspettiva, in quella che probabilmente è anche la sua opera più compatta, sia sul piano stilistico che contenutistico.

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